Perché riflettere su un’educazione tra sentimenti, ri-sentimenti e sentimenti mancati?
Quando quello che succede nel mondo crea angoscia nei rapporti umani, allora può anche nascere la ricerca di spazi nuovi attraverso l’intelligenza, intesa nel senso originario di intus legere, come lettura in profondità.
Il presupposto è che noi facciamo fatica a riconoscere quali dei nostri stati d’animo scaturiscono dall’interno e quali ci arrivano dall’esterno o non ci appartengono.
Di fatto, imparare a riflettere nel rispetto di sé e degli altri è faticoso e anche doloroso, perché si devono fare i conti con la nostra mancanza e difettosità.
Qui e ora, oggi più che mai, in un quadro sempre più instabile, complesso, virale e aggressivo in tutti i sensi, è necessario rinnovare un impegno a proseguire un percorso di comprensione, calcolando le resistenze interne ed esterne per farci i conti e trasmettere un certo modo di guardare, pensare, fare ed essere.
Educare a educarsi insieme significa partire dalla condizione che ci unisce nel venire al mondo, quella che rompe una situazione di equilibrio per un progetto (pro-iectus) che ha inaugurato la nostra prima esperienza relazionale: quella infantile, in un rapporto che oscilla tra tentazioni abbandoniche e rischi di soffocamento.
Assumersi “ruoli” (e non condizionamenti) diversi significa dover scegliere, per non macchiarsi della colpa di autotradimento, di quel peccato originale che, secondo Kirkegaard, è non cogliere le possibilità che la vita, anche la più miserevole ti mette davanti.
Come diceva Gino Pagliarani, fondatore insieme a Franco Fornari dell’istituto di polemologia negli anni sessanta, le parole sono tre: pace, conflitto e guerra, laddove la guerra è una soluzione patologica del conflitto e la pace è tutt’altro che pacifica. È proprio il conflitto la nostra realtà quotidiana e occorre coraggio per affrontarla nella vita di tutti i giorni, prima ancora che nel mondo.
Perché Venere fa l’amore con Marte? Come mai la dea della bellezza e dell’amore abbraccia il dio della guerra? È un evento possibile solo se Marte si spoglia dell’elmo e della corazza. Il mito ci avverte però che Armonia, nata da Venere e Marte, ha dei fratelli che si chiamano Terrore e Spavento.
Uscendo dal simbolismo, così come avviene durante un concerto (cfr. certamen inteso come contrasto tra note), il conflitto, solo se elaborato, può approdare all’armonia.
E se il conflitto viene negato? Allora all’eventualità della pace si sovrappone una dichiarazione di guerra.
UNO STEREOTIPO DI GENERE: MASCHIO E FEMMINA TRA NATURA E CULTURA
L’irruzione nel nostro quotidiano di segnali confusi e contraddittori, che ci manifestano ora più che mai il destino patetico delle aspettative sul migliore dei mondi possibili, esige una radicale riformulazione della nostra presenza “culturale” tra progresso e imbarbarimento. Per noi donne soprattutto.
Le nostre radici affondano ancora in un mare di pregiudizi, eredità di un passato prossimo: grimaldello efficace, se non rappresenta una suggestiva via di fuga, bensì uno spunto per riproporre la centralità del corpo, del nostro corpo, in una società segnata dall’impotenza, costante e irriducibile, di una condizione umana sempre più sbilanciata tra natura e società, biologia e cultura.
Via via, la nascita e la morte, la prevenzione e la cura, appannaggio dell'universo
femminile sono state prese in carico da un potere strumentale alle esigenze di un mondo maschile che, attraverso rituali codificati, ha opposto credenze e regole all’inadeguatezza delle soluzioni, segno d’impotenza e d’ignoranza pronte a rimuovere il problema. Come succede anche oggigiorno, mentre la via di una nuova consapevolezza si apre la strada a fatica.
Gli aspetti disgreganti di un nuovo disagio della civiltà portano a interrogarsi sui paradigmi che i cambiamenti “catastrofici” contrassegnano con nuove evidenze in una società che abita la sessualità del corpo dall’antichità ai nostri giorni.
La CRISI è contemporaneamente pericolo e opportunità. Un approccio attuale alle origini dei destini sessuali nell'individuo, nella coppia, nella società ci può far riattraversare oggi, vicino a noi e a partire da noi, miti, luoghi comuni e ipotesi interpretative con un diverso sguardo di genere.
La pandemia: come spiegarla e valutarne gli effetti sulla vita sociale nel tempo (Chronos e Kairos/ tempo “assoluto” e “relativo”), a partire dalle radici del male/malattia?
Quanto di comune e quanto d'individuale nella natura umana, vale a dire: sesso, età, modo di vivere, influenza i nostri comportamenti qui e ora?
Dagli astri interrogati fin dall'antichità ai dis-astri.
Le tendenze a spiegare l’origine degli avvenimenti col soprannaturale e con modelli interpretativi declinati al maschile non rende forse sempre più visibile all'orizzonte una Odissea al femminile che va esplorando, tra rischi e difficoltà, nuovi presupposti alla vita, individuale e sociale?
METAMORFOSI: FACCIAMO CHE IO ERO
Che cosa risuona in noi quando pensiamo al cambiamento? Come considerarlo con uno sguardo di genere? Quale nesso tra un periodo di vita sospesa e le potenzialità di una vita autentica, nonostante? Come possiamo oggi sconfiggere diffidenza, rabbia, paura, sospetti, colpe e conflitti e guardare con occhi nuovi al mondo, come a un ambiente da noi, da noi donne in particolare, ridefinibile?
Vivere in periodi di crisi permette di esplorare come non mai le diverse possibilità di realizzazione di sé nel mondo. È una messa alla prova che ci rende meno inclini ad accettare l’ingiustizia e le manipolazioni.
Una ricerca attenta alla considerazione e al riconoscimento reciproci per condividere l’occasione di una ricerca comune in un tempo quanto mai bisognoso di ascolto, desideri e aspettative: un invito a ri-cercare per interrogarci e andare al cuore dei problemi insieme.
Freud diceva che i due verbi fondamentali della vicenda umana sono amare e fare: ipotesi interpretative della realtà sociale e del nostro essere nel mondo.
Riconoscere ed educare i “sentimenti” va nel senso di sviluppare l’area formativa in cui siamo più carenti tra tutte quelle di cui siamo stati soggetti e oggetti.
Il tema del cambiamento e dell’incertezza abitano il nostro quotidiano da tempo. Ma solo una paura inattesa che ci ha toccato da vicino e che ha colto di sorpresa la nostra anima contemporanea ci ha costretto a togliere il velo dell’assuefazione di fronte a tanti lati oscuri della nostra sfera emotiva.
Quando ciò che sta succedendo intorno a noi crea angoscia, allora dobbiamo fare i conti con la nostra mancanza e difettosità.
Ma c’è anche una sfida alla ricerca di uno spazio nuovo, con un lavoro di scoperta che rifletta il rispetto di sé e degli altri.
Il cambiamento catastrofico (dal greco “katà” = giù e stréphein” = ribaltare), determina uno sconvolgimento del sistema precedente.
Contemporaneamente disastro e punto di partenza di un'evoluzione.
Ma cosa ci succede quando gli equilibri esterni si modificano in modo inaspettato?
Il cambiamento produce uno sbilanciamento da un meccanismo di omeostasi alla capacità di porsi di fronte a sfide inaspettate, che arrivano dall’ambiente che muta.
Konrad Lorenz, etologo e premio Nobel per la medicina, racconta di due cani che s’incontravano ogni giorno ringhiando, l’uno dietro al suo recinto, l’altro al guinzaglio del suo padrone. Un giorno di fronte al cancello rimasto aperto, i due invece di cogliere l’occasione per mettersi alla prova, si rintanarono dietro la solita rete, ricominciando ad abbaiare.
2020-21 ODISSEA NELLO SPAZIO, NEL TEMPO E NELLE RELAZIONI
Le nostre radici affondano in un mare di pregiudizi che ci ripropongono questioni con esiti, a dir poco, discriminatori.
L’ipocrisia di un mondo segnato dall’impotenza, costante irriducibile della nostra condizione umana, ancora oggi, ci interroga più che mai sull’identità di chi siamo, a partire dai rapporti fondamentali, distorti da stereotipi che vengono da lontano: DONNA/NATURA – UOMO/CULTURA - NATURA O SOCIETÀ? BIOLOGIA O CULTURA?
Un approccio attuale a partire da una CRISI che è contemporaneamente pericolo e opportunità ci porta alle origini dei destini nell'individuo, nella coppia, nei gruppi sociali e ci fa riattraversare miti, luoghi comuni e ipotesi interpretative, osservandoli con un diverso sguardo di genere.
Differenze biologiche, antropologiche, culturali, psicosociali mettono continuamente in luce gli aspetti disgreganti di un disagio della civiltà che ci circonda.
Attraverso una Odissea che passa attraverso i nostri luoghi di appartenenza, d’identità culturale e politica, senza “ismi” di sorta, incontriamo cliché che si annidano tra noi, a partire da “tutt’uno” a “ciascuna” in una realtà che non è come ci appare, ma come noi la interpretiamo o ci lasciamo interpretare in base a paradigmi rispetto ai quali si comincia letteralmente a “dar corpo” alle diverse identità.
Ecco che l’eredità del nostro passato prossimo insieme alle categorie di un’antica-recente civiltà possono diventare un grimaldello efficace per riproporre la centralità del corpo, del nostro corpo.
Se un tempo la prevenzione e la cura si attuavano nell’opporre credenze e regole bizzarre all’inadeguatezza delle soluzioni, spesso oggigiorno accade di rimuovere il problema affidandosi a fantasticherie o altro, tra isolamento psicologico ed esorcismo sociale.
QUALE GENERE DI FUTURO E QUALE FUTURO DI GENERE?
Incertezza, ansia per l'avvenire, bisogno di rassicurazione e contemporaneamente di libertà e affermazione definiscono temi etici e valori di un campione rappresentativo di giovani tra i 18 e i 30 anni in Italia secondo l’ultimo censimento ISTAT in tema di diritti civili.
Significativo che ancora oggi divorzio, aborto, unioni civili, adozione da parte degli omosessuali rappresentino una conquista sociale più per le donne che per gli uomini.
Fa riflettere il fatto che la legalizzazione dell’aborto sia più sostenuta dai ragazzi che dalle ragazze, mentre l’approvazione di un decreto anti femminicidio ha il 92,3% favorevole delle donne e un 77,4% degli uomini, e anche la possibilità di adottare per le coppie omosessuali vede le ragazze più favorevoli dei coetanei.
Scorporando i dati sulla base dell’area politica di appartenenza, il tema delle adozioni è quello che più di tutti divide le opinioni dei giovani in Italia: l’adozione da parte di una singola persona supera a stento la metà dei consensi tra i ragazzi di centro-destra e del M5S (circa 52,5% per entrambi) e non raggiunge la metà fra quelli di destra (46,9%). Le differenze risultano ancora più marcate quando si parla di adozione da parte degli omosessuali, considerata una conquista sociale da più del 75% degli intervistati di sinistra e di centro-sinistra, dal 60% del campione di centro e dal 54% di quello del Movimento 5 Stelle; mentre fra i ragazzi di centro-destra e di destra le risposte negative superano nettamente quelle positive, con i “sì” che si fermano rispettivamente al 37,5% ed al 30,6%.
I mutamenti storici dell'ultimo secolo, anche se hanno conferito dignità allo status femminile non sembra abbiano eliminato la violenza psicologica, fisica e sessuale: la cronaca riporta in continuazione notizie drammatiche delle aggressioni contro rappresentanti del genere femminile. Una regressione a modalità sempre più persecutorie e infantili nei comportamenti di oggi? E a chi o a cosa va attribuita?
La psicoanalisi ci dice che il rapporto tra uomini e donne, per sua natura così viscerale, è carico di fantasmi tali da mobilitare tutta la gamma delle possibili angosce e tutto il repertorio dell’aggressività. Umiliazioni, svalutazioni, desideri di controllo e di dominio, occupazioni della mente altrui fino allo spossessamento del Sé, si sviluppano e rimbalzano senza tregua non appena il rassicurante regime fusionale che illude le persone all’inizio delle loro unioni viene messo in crisi dalla inquietante percezione dell’alterità.
TEMPI BUI. MALA TEMPORA CURRUNT
Se dovessi trovare oggi una chiave di lettura a un lavoro di ricerca che ho sviluppato tra l’88 e l’89 in Mali: sul territorio, nei villaggi e in ospedale psichiatrico a Bamako, la cercherei proprio nelle contraddizioni che inquietano tutti coloro che non fanno parte di un gregge omologato a chilometro zero.
Tempi bui, in Italia, 30 anni dopo.
MA CON CHI ABBIAMO A CHE FARE?
Nel corso del tempo, di volta in volta, una maggioranza preoccupata e agitata ha trovato capi pronti a gridare all’untore: nero, ebreo, comunista, pazzo, omosessuale, donna.
Il diverso, lo strano, il perturbante che fa vacillare la tanto conclamata stabilità, perché non è rapportabile a schemi consolidati o maggioritari, proprio per questo può generare una co-operazione effettiva. Se ci si ferma a riflettere sulle nuove chiavi di lettura proposte dalla crisi di stereotipi diffusi, allora la mancanza dei modelli già infelicemente collaudati diventa una risorsa invece che un ostacolo
Quando sono partita per il Mali mi sono portata appresso stupore e ascolto.
Non era ancora caduto il muro di Berlino, ma il boom dell’immigrazione dei neri in Italia cominciava a creare aspettative, “senza frontiere” miste a profetiche apprensioni, sia da una parte che dall’altra.
Ma si sa che la caduta dei nostri muri interni non corrisponde di per sé alle più convincenti dichiarazioni d’intenti. E il nero è un colore che rappresenta emblematicamente ciò che è altro, diverso, oscuro.
In quel pezzo di Africa dove sono vissuta per quasi un anno, il rispecchiamento e la riflessione che permettono l’incontro con l’altro passano attraverso una comprensione che nel mondo dell’uomo bianco viene elaborata in termini simbolici e antropologici. Altrimenti incombe solo la “sacra” rappresentazione di un pericolo da combattere.
La domanda che nasce all’impatto con “l’uomo nero”: “Ma come aiuto l’Africa?” porta a riflettere sull’alterità come rispecchiamento dell’identità stessa, quando di botto si trasforma in: ”Ma come? Aiuto!!! L’Africa!!!”
La paura dell’incontro con l’”uomo nero”, non tanto fisica quanto culturale, porta in molti a reagire con modalità paternalistiche “quanto è buono l’uomo bianco”, che è anche il titolo di un singolare film di Ferreri, o con tale diffidenza e rabbia da fare presumere una situazione di guerra in cui ci si sente accerchiati e quindi giustificato a difendersi da un nemico sempre in agguato.
Noi non conosciamo gli ALTRI, ma possiamo riconoscere e riflettere su come ci vedono loro, su chi è davvero la controparte.
Il RISPETTO (da re-spectare, cioè guardare con attenzione, a una giusta distanza) è una chiave fondamentale o meglio è una lente per mettere a fuoco quello che i nostri disturbi visivi occultati e negati tendono a deformare.
Se per cittadinanza democratica s’intende la possibilità di costruire un clima di dialogo e di legalità come valori trasversali da garantire alla persona e non solo al cittadino, questo concetto sembra si sia appannato nel recente passato e vada svanendo nel presente.
Convivenza civile e solidarietà sono esperienze di una comunità aperta e in via di evoluzione, non di una nazione escludente.
In una società non più omogenea sotto il profilo etnico, culturale, religioso (“una d’arme, di lingua, d’altar” di manzoniana memoria), le diversità crescono e di fatto si vanno affermando sempre più società plurali.
Promuovere una cultura e una sensibilità implicite nell’idea di convivenza civile sembra oggi tanto più indispensabile, quanto più arduo.
Se la concezione vincente, che va allarmisticamente avanzando in un paese in cui il tessuto civile e sociale risulta sempre più deteriorato, sostiene che le minoranze sono “corpi estranei”, da combattere e neutralizzare, allora come è possibile progettare un’educazione alla cittadinanza democratica e soprattutto come esercitarla?
Il rischio maggiore è che quelli che dovrebbero essere valori trasversali di accoglienza e rispetto diventino appannaggio di uno o più club esclusivi di volonterosi che via via difendono le cause di migranti, LGBT, minoranze etniche e compagnia cantante, spesso malauguratamente in conflitto tra loro.
Non basta per una convivenza civile e nemmeno basterebbe il riconoscimento apparente di un diritto formale, se questo non corrisponde a un suo esercizio autentico.
Mondi diversi, gruppi contrapposti danno vita a “tribù” all’interno delle quali ogni membro si sente protetto contro gli altri e contro se stesso, difeso da impulsi e sentimenti misconosciuti.
Alla base dei nuovi tabù prodotti dalla nostra cultura c’è non solo la paura di un’ambivalenza tra ciò che è insieme desiderabile ed escluso, ma anche di ciò che potrebbe rovinare la nostra vita privata e sociale.
Meglio attribuirli a ciò che è estraneo, marcato con i connotati di una maledizione che mostra il suo volto ostile. Tanto a trovare soluzioni rassicuranti, in una crociata lastricata di intenzioni salvifiche, ci pensa il capo tribù…
Esorcizzando il tabù, ovvero il male esternalizzato, con rituali collettivi, ci si difende dal contagio di emozioni intollerabili.
A differenza delle forme tribali originarie, interessate soprattutto a tutelare i rapporti parentali allargati, le nuove tribù del mondo contemporaneo individuano in un nemico esterno le proprie pulsioni provocate da conflitti interni
A partire dai riferimenti etimologici, per cui la parola tribus in latino indicava inizialmente un’aggregazione di famiglie nella Roma dell’età arcaica, a metà dell’Ottocento, alcuni studi antropologici non si discostano da tale significato, concentrandosi sulle tribù degli Indiani del Nordamerica -Falco, Lupo, Orso, Castoro, Tartaruga, Daino, Airone, Beccaccino- nate a garanzia di una difesa contro lo scatenarsi di conflitti tra “fratelli”.
A proposito delle tribù odierne si ha a che fare con ben altro, rispetto a un’aggregazione di individui che si identifica in una comunità socialmente utile. Anzi, ciascun appartenente alla tribù tende a definire una propria mentalità a cui si aggrappa, con la convinzione collettiva dell’esistenza di un nemico esterno da cui difendersi, grazie a un capo da cui dipendere.
Per capirci, se possiamo attribuire al colore dei capelli la produzione di un’identità negativa, allora possiamo stare tranquilli sia allontanando da noi il soggetto che potrebbe contaminarci, sia infierendo contro di lui che è per definizione "malo oggetto".
Malpelo si chiamava così perché aveva i capelli rossi; ed aveva i capelli rossi perché era un ragazzo malizioso e cattivo, che prometteva di riescire un fior di birbone. Sicché tutti alla cava della rena rossa lo chiamavano Malpelo; e persino sua madre, col sentirgli dir sempre a quel modo, aveva quasi dimenticato il suo nome di battesimo.
Dall'incipit di una delle più note novelle di Giovanni Verga – e siamo nell'Ottocento, in Sicilia-, attraverso la voce collettiva del pregiudizio popolare, ci affacciamo su uno spaccato dei meccanismi psicologici e sociali all'origine della devianza, che ha bisogno contemporaneamente sia di innocenti che di colpevoli.
…Sono coloro che non riflettono, a non dubitare mai. / Splendida è la loro digestione, infallibile il loro giudizio/ Non credono ai fatti, credono solo a se stessi. /Se occorre, tanto peggio per i fatti… Bertold Brecht
Gli esseri viventi sono ripetutamente soggetti a situazioni trasformative, che richiedono interventi da attuare, ma GLI UMANI E GLI ANIMALI HANNO UN APPROCCIO DIVERSO NEI CONFRONTI DELLE SOLUZIONI SBAGLIATE: l’uomo impara dai propri errori, l’animale ne rimane vittima. Se è vero che la consapevolezza e il cambiamento non partono dalle certezze ma dai dilemmi, di fronte alle situazioni nuove o impreviste, Einstein e l’ameba -dice Popper, filosofo politico della società aperta- procedono allo stesso modo e cioè per prove ed errori, ma sono guidati nelle loro azioni da una logica diversa: Einstein indaga sui propri errori, e impara da essi e grazie ad essi, cercando nuove vie, l’ameba muore con le sue soluzioni sbagliate. L’ameba, appunto!
Genere, differenza, molteplicità, insieme a mancanza -l'alfa privativo- che più di tutto ci interroga
sulle nostre identità ondivaghe sono territori di confine che rasentano mondi intermedi dove l’ambiguità è di casa. Un’ambiguità con cui famigliarizzare, nonostante l’angoscia di non essere certi né della raccolta dei dati, né dell’analisi della realtà, né della prospettiva che ne deriva. Cosa non sto vedendo e perché? Consenso a parole e ansia nei fatti è presente anche tra i fautori del cambiamento. Ma se non accetto di convivere con l’incertezza e di mettere alla prova la capacità di tollerare lo scacco, allora ecco aperta la strada dell’intolleranza con tutte le sue qualità superegoiche con due rischi: il processo d’ausilio manipolatorio del “boy scout” o l’ambizione puerile del principiante con il suo sacro zelo di educare secondo principi consolidati e indiscussi.
Le relazioni tribolate, ai margini delle teorie consolidate e delle politiche del sapere, pescano il proprio humus generativo interrogando i dubbi e le ipotesi innovative. A volte insofferenti, a volte irriverenti verso un sapere saputo. L’incapacità di accogliere le differenze che gli altri e il mondo ci propongono, di contro a un approccio tormentato verso le assenze e le molteplicità che ci sbilanciano, portano alla scelta tra una soluzione mortifera e una soluzione germinativa. Tocca a noi decidere se vagheggiare di magnifiche sorti trionfalistiche in una pozzanghera di luoghi comuni o misurarci col nostro limite, in una DEMOCRAZIA DEI SENTIMENTI.
L'ECCEZIONE SCONFERMA LA REGOLA
Se alcunché non conferma la regola, vuol dire che la nega.
“Exceptio probat regulam” non significa che l’eccezione approva la regola, ma che la mette alla prova, confutando la norma vigente.
Di fatto la regola non è assoluta e una sola smentita è sufficiente a confutarla. Basti pensare all’ampiamente diffuso “ti amerò per sempre“ che non ha valore universale, ma vale nel qui e ora.
Quando entriamo poi nel merito delle identità soggettive, in particolare di genere e di orientamento sessuale, la scelta prevalente non indica una cifra assoluta, ma una maggioranza relativa.
Allora cosa non sto vedendo e perché, se stigmatizzo e condanno le diversità?
La mancanza di discrimine porta all’intolleranza e alla sorte di “pescare un carpione con un’esca di falsità” (Polonio, Amleto, Shakespeare). E inoltre “chi scava una fossa vi può cadere dentro e chi abbatte un muro può essere morso da una serpe” (Ecclesiaste 10.8).
E così si corrono due rischi, l’uno superegoico, del boy scout con l’ambizione di guarire ed educare, l’altro del principiante, che aggredisce le angosce senza anestetico.
Si sa che la coerenza tra ciò che si dice e ciò che si fa è difficile cosa. Smascherare le difese non basta, occorre stimolare nuove difese più appropriate e mettersi in condizione di verificarne la coesione interna.
Ed è attraverso la messa alla prova della propria capacità di tollerare/tolleranza che passa l’accettazione di famigliarizzare con angosce di ambiguità e marginalizzazione.
In termini sociali il concetto stesso di marginalità riflette gli squilibri della società e l'idea che ogni sistema sia fondato sulla disuguaglianza, nel paradosso che l’appartenenza a una certa parte escluda dall’appartenenza alla totalità.
Ma sappiamo anche che, in termini evolutivi, è proprio il margine che può diventare la sede del nuovo, del cambiamento, della generatività.
PARADOSSO E PREGIUDIZIO: è matematico
L'essere umano si adegua istintivamente a quella che, lui crede, rappresenta la volontà del gruppo. Questo atteggiamento diffuso fa sì che la novella del buon pastore abbia il suo fondamento in una dialettica fenomenologica che trova la sua ragion d’essere nella sussistenza complementare di un gregge di pecore.
E mal ne incolga alla pecora nera.
Allora qual è la morale della favola per cui il comportamento sessuale e i rapporti parentali, condizionati dalla morale corrente e soggetti a prescrizioni e proscrizioni, anatemi e censure, sono più influenzati dal contesto sociale che dal desiderio di garantire alla gente, a tutta la gente, una vita pubblica più felice?
L’ipocrisia e la mancanza di rispetto confliggono con la critica radicale a norme e leggi anacronistiche, che derivano da convinzioni sociali e religiose, fonte di disagio e sofferenza per coloro che si sentono accerchiati da chi è più realista del re e più papista del papa.
Se l’etica è un fatto culturale, si può accettare di buon grado la morale cattolica, sia pur in versione sessuofobica, purché non venga imposta a chi cattolico non è. Perché riconoscere i diritti legittimi di un individuo dovrebbe negare quelli di un altro?
Accettare che la legge civile in Italia permetta comportamenti contrari alla morale cattolica? Quando mai! Detto questo, non basta fustigare i benpensanti e consolare gli afflitti, ma è d’uopo indagare sulla caparbia di chi, incapace di dubbi, si prostra ciecamente ai pregiudizi e trova non solo assurdo ma anche illegittimo il punto di vista di chi esprime, aldilà delle altrui convenzioni, le proprie convinzioni con coraggio e onestà.
La fantasia storica e psicologica si dovrebbe interrogare su come mai possano incombere ancora oggi, nelle scelte personali quelle esegesi che, tra fede e incidenti culturali, la dicono lunga sul concetto irriducibile di monopolio etico ed esclusione. E ci aiuterebbe anche a intendere quanto stupidi possano apparire molti dei nostri pregiudizi prediletti, in un altro tempo e in un altro spazio.
Chiunque abbia a cuore la felicità della gente, delle genti, non può non combattere le imposizioni, a vantaggio di norme che garantiscano una più soddisfacente espressione della sessualità e delle prassi famigliari più adeguate a garantire paternità / maternità responsabile, se i figli sono cercati sul serio.
Per interpretare una società, antica o moderna che sia, due restano gli elementi fondanti e tra loro correlati: il sistema economico e il sistema familiare. Nello scorso millennio, indagando le istituzioni sociali che li rappresentano, Marx e Freud avevano orientato il pensiero contemporaneo in tale direzione.
Oggidì “apocalittici e integrati, degenerati e bigotti” si affrontano su un terreno che vede un titanico scontro di hybris come direbbero i greci, di tracotanza, laddove leggi e buon senso sembrano abitare altrove dall’Italia. E non solo sulla pelle degli adulti, ma anche su quella dei bambini, per i quali famiglia significa innanzi tutto amore.
PERIFERIE CULTURALI: tra lacci e lacciuoli della stupidità
Da Darwin sappiamo di condividere la nostra origine con le altre specie del regno animale e tutte le specie, si sa, dal vermiciattolo all’elefante, devono sopportare la loro dose quotidiana di tribolazioni, timori, frustrazioni, pene e avversità.
Gli esseri umani, tuttavia, hanno il privilegio di doversi sobbarcare un peso aggiuntivo, una dose extra di tribolazioni quotidiane, causate da un gruppo di persone che appartengono allo stesso genere umano.
Così Carlo M. Cipolla rifletteva nel 1976 sullo stato delle umane cose in Le leggi fondamentali della stupidità umana.
In questi tempi, tra choc moralistici e altalenanti appelli polarizzati, in un senso o nell’altro, oscillano maldestramente gli stereotipi del “politicamente corretto” sulla vexata quaestio lgbti e diritti negati.
Il paradosso della stupidità diffusa, trasversale e inconsapevole, di chi arriva a tirarsi la zappa sui piedi è l’aggravante che si snocciola in una sequela di luoghi comuni. E che assimila il percorso verso i diritti in discussione sulle unioni civili e sulla stepchild adoption alla ormai (quasi) risolta - in termini di diritto, se non di fatto - diatriba dei pre-giudizi (prima, durante e dopo) sul razzismo.
Illuminante il confronto che si evince dai grafici estrapolati dal testo di Cipolla.
Nell’assenza di discriminazione, nell’adesione acritica a slogan pro o contro i diritti lgbti sono insite varianti socio-culturali spesso collegate a una presenza di opinioni tanto variegata quanto fastidiosa, tanto attiva quanto inopportuna.
Per non parlare delle mosche cocchiere che piene di sé e ripiene di luoghi comuni (da ri-leggere la fiaba La mosca e la mula di Fedro, ancora illuminante dopo due millenni), cavalcano la situazione con la sicumera di esserne all’altezza senza se e senza ma.
I grafici presenti in questa pagina sono stati elaborati da Gianfranco Bo
La morale della favola - è proprio il caso di dirlo - è che aveva ragione Cipolla: un bandito che procura un vantaggio a se stesso è meno pericoloso di uno stupido, il quale, oltre che a sé, può recar danno a tante altre persone. E portare una buona causa all'insuccesso.
ovvero le trappole della cattiva coscienza
Genere o non genere? Genere: questo è il problema. Il senso di colpa, si sa, è una costruzione culturale. Qualche umano cedimento, frutto di speranze disattese, s’incista a volte di soppiatto in remoti anfratti delle anime più devote, dove produce ossessive interpretazioni di gender per sentito dire, fare, baciare…
È normale che alcune pecorelle del pio gregge si smarriscano di fronte a una reductio ad unum, da cui può generarsi una molteplicità ingestibile sul percorso della retta via. D'altronde nemmeno tra i più preparati è facile barcamenarsi tra le bizzarrie di un genere che persino nelle grammatiche della nostra tradizione occidentale prevede: maschile, femminile, neutro, duale…
In soccorso alla paura di cadere vittime d’illecite pulsioni, manipoli di volenterosi si raccolgono alla caccia del GENDER, per la disinfestazione e la tutela di territori culturalmente modificati. Ma perché non spezzare una lancia a favore dei “poveri di spirito” che come funghi crescono nel sottobosco dell’ignoranza (cfr. ignorare)? Per chi non ne fosse a conoscenza, raggiungere la comprensione di categorie centrate attorno al concetto di genere e quindi di differenza -non solo sessuale- mobilita inquietanti parallelismi.
Uno spettro si aggira ancora oggi tra di noi: la costruzione di un corpo monosessuale, con una versione di genere maschile (fondante) e una di genere femminile (subordinata).
Non si può liquidare questa tesi sottovalutandone le implicazioni biologiche, psicologiche e politiche. La gerarchia stabilita dalla interpretazione del corpo per cui un unico sesso si declina in due generi viene da lontano e perdura ben oltre l’avvento dell’Illuminismo che ne “scopre” l’infondatezza. Fin dall’Antichità, Galeno, ripreso da Nemesio, vescovo del IV secolo, e dai successivi modelli culturali, relega le donne alla periferia della fisiologia umana. Esse non sarebbero che uomini difettosi che hanno gli stessi organi, ma rovesciati dentro il corpo. Organi paragonati agli occhi della talpa che non sono usciti in avanti, ma sono rimasti all’interno, segno evidente d’imperfezione. Aristotele -pur convinto sul piano filosofico dell’esistenza di due sessi diversi- in quanto naturalista, abbraccia la tesi monosessuale perché “maschio è un animale che genera in un altro, femmina quello che genera in se stesso”, precisando che un animale non è maschio o femmina nella sua totalità, ma nelle sue facoltà. Per cui “esse, benché siano di sesso differente, pure nell’insieme sono identiche a noi, perché quelli che hanno cercato più a fondo trovano che le donne non sono che uomini capovolti”.
Quelli che adesso definiamo “sesso” e “genere” un tempo erano l’uno una convenzione, l’altro un fatto politico-culturale. Nell’immaginario contemporaneo, e non solo nelle sacche più retrive del nostro sociale, colpisce la banalizzazione di chi concepisce la differenza sessuale come regolata da una questione di sfumature più o meno profonde. Ancora oggi il sesso fatica a essere riconosciuto come categoria ontologica, non solo sociologica.
E le radici del misconoscimento vengono da lontano.
Oggidì, nel 2000 e passa, l’Italia è un Paese dove gli antichi e casalinghi assedi psicologici delle mamme, dei papà e degli zii sugli indiziati di omosessualità sono stati sostituiti da imboscate scorrette, e politicamente sorrette.
Non fu sempre così. Con incrollabile fede, come recitano antiche storie, un tempo, se eri in odore di omosessualità, ti allenavano senza mezzi termini a comportarti come si deve. L’omosessualità era un tempo malattia incurabile e forse contagiosa. Alla larga. E tutti a crederci: solo qualche spirito ostinato provava a cavarsela a zigzag tra vita pubblica e privata.
In un Paese dove l’ipocrisia diffusa è “un omaggio che il vizio rende alla virtù”, oggi la bocciatura senza appello dei misfatti omosessuali è acqua passata (almeno per i più).
Le fonti più lungimiranti e perseveranti ci dicono che tutto si fa per il bene dell’individuo e della specie. E non ci si parli di cosa è naturale e cosa no, altrimenti si va in confusione.
Pare siano previsti edificanti corsi di recupero per i soggetti alla ricerca del proprio genere. Accanimento terapeutico? Ma no. Seminari e convegni per divulgare il cosa, il come e il quando del recupero. Sempre a fin di bene, naturalmente.
Non che il soggetto omosessuale non sia vispo, intelligente e quant’altro. È solo svogliato, non si applica abbastanza alla materia, è sviato, inopinatamente, da influenze infide se persino nella cattolicissima Irlanda si è aperta la breccia a novelle tipologie di unioni che si affacciano, orribile a dirsi, su un mondo alla rovescia.
C’era una volta in Italia. E qui e ora? Voglio che qualcuno mi spieghi perché Maroni e compagnia devono pensare (scusate l’antinomia dei termini tra soggetto e verbo) anche per noi alla famiglia modello del terzo millennio.
E visto che ognuno riflette e pondera a propria immagine e somiglianza, non vorrei proprio ritrovarmi nel catalogo dei senza collo.
PERCORSO A OSTACOLI IN ITALIA PER COMPORTAMENTI SESSUALI MINORITARI
In una società eteronormata come la nostra, identità di genere e orientamento sessuale sono pesantemente condizionati dal pregiudizio.
E molti scelgono l'invisibilità a fronte dei comportamenti di discriminazione
Perché parlare di LGBTI? Cosa significa questa sigla?
Il dibattito sempre più diffuso sulle problematiche dell’identità di genere e dell’orientamento sessuale è oggi un segnale di attenzione che non può più essere ignorato. Se ne parla soprattutto quando la cronaca presenta casi estremi e sono soprattutto le giovani vittime a generare sgomento.
Saperne di più e confrontarsi senza pregiudizi permette di comprendere meglio la realtà delle persone omosessuali con cui si vive a contatto e contribuisce a creare un ambiente più consapevole. L’Italia è ormai rimasta il fanalino di coda nel processo di sensibilizzazione sulle tematiche inerenti il mondo omosessuale.
È ora di proporre un’analisi, una riflessione e un sentire comuni sui comportamenti che possono ostacolare scelte responsabili e consapevoli. Diretta, oltre che a quei giovani che scoprono di sentirsi attratti da persone del loro stesso sesso, ai loro amici e compagni di scuola, alle loro famiglie, agli insegnanti e al mondo che li circonda. Se gli uni sono confusi sul loro orientamento sessuale, gli altri sono disorientati nella loro parte di genitori, di educatori e di vicini di casa.
È fondamentale intervenire, a partire proprio da noi che ci occupiamo di benessere psichico, per mettere in atto pratiche formative fondate sul confronto e sul rispetto. La cultura del pregiudizio, intesa come coltivazione di un germe virale, e le azioni di isolamento che ne conseguono, se ignorate o misconosciute, vanno a colpire tutte le minoranze e le diversità.
Senza considerare che siamo tutti di una stessa razza: umana.
Cosa significa parlare di politica oggi? Forse restare in piedi nonostante tutti i tentativi di togliere, senza se e senza ma, spazi conquistati in una Polis dove si era creata una consapevolezza critica sulla cittadinanza democratica conditio sine qua non per una cittadinanza attiva (nell’antica Grecia il privato che “si faceva i fatti suoi” era definito “idiotes” a fronte del cittadino che si occupava della polis).
Il trionfo di una tracotanza che invoca Dio Patria e Famiglia a tutela di un’ordinata quotidianità nasconde la condanna di comportamenti che nulla hanno a che fare con la civiltà e comunque con una serena quotidianità.
Il motto suggerisce emozioni che nascono da rabbie, paure e risentimenti che volano basso, anzi che si nascondono nei meandri dell’incoscienza. Non ci sono ali per volare nel “blu dipinto di blu”?
IL MONDO E BELLO PERCHE E VARIO
L’idea della diversità è coniugata con quella di pluralità. Come sarebbe un mondo senza varietà?
Di gusti, di opinioni di cibi, d’idee e di persone?
Cosa ci suggerisce la frase proverbiale sul mondo bello perché vario, proprio a partire dal linguaggio dei sinonimi e contrari?
Secondo il vocabolario online Treccani, l’aggettivo vario indica ciò che “ha una più o meno notevole diversità sia negli elementi che lo compongono, sia in successive fasi o manifestazioni, sia rispetto ad altre cose simili o analoghe” ed “è affine a diverso, ma esprime sempre una differenza meno grande e meno essenziale”. Suo contrario: “monotono, omogeneo, piatto, uniforme”.
Il termine “vario” è di etimologia sconosciuta (e questo la dice lunga già di per sé), mentre il sinonimo “diverso” (che diverge dalla norma ≠) contiene valenze di devianza che hanno a che fare con lo strano/estraneo, con la negazione dell’uguaglianza. Sul vocabolario già citato il sinonimo sostantivato ”diverso”, va a significare: “Persona che, per qualche aspetto, carattere o manifestazione, esce da quella che è tradizionalmente considerata la condizione «normale», cioè omosessuali, disabili fisici o psichici, ecc.: essere, sentirsi diverso o un diverso; l’emarginazione dei d.; anche come eufemismo per omosessuale.”
In diverso si calca la mano sull’idea di contrasto, di discordanza, vario si colloca in quell’orizzonte del molteplice e d’indeterminatezza suggerita dall’Infinito di Leopardi. Varianti in poesia, colori variegati, paesaggio vario, variazioni musicali: elementi diversi che si fondono insieme suggeriscono creatività e arricchimento di contro a noia e impoverimento. E nel linguaggio comune: “Varie ed eventuali” è l’ultimo punto di un ordine del giorno che lascia aperta la porta all’imprevisto e “Autori vari” è il segnale della redazione di un’opera a più mani.
Se il contrasto può portare alla guerra, il vario rende il mondo meno noioso.
L’idea di diversità è ambivalente: può essere coniugata con quella di conflitto oppure con quella di pluralità. Come sarebbe un mondo uniforme, senza varietà? Di gusti, di opinioni di cibi, d’idee e di persone?
Secondo una ricerca iniziata nel 2007 all'università La Sapienza di Roma e negli atenei di Pisa, Cagliari e Bologna, gli italiani sono il popolo con la varietà genetica e culturale più ricca d'Europa. Per l’antropologo Giovanni Destro Bisol la nostra diversificazione è una ricchezza misconosciuta e dissipata da xenofobia e omofobia che a noi meno che ad altri dovrebbero appartenere, vista la nostra storia e dato che in Italia già le minoranze linguistiche riconosciute dalla legge sono ben 12.
Il senso del confronto nella convivenza e nella condivisione, di un confronto aperto sui temi biologici, legali, culturali e sociali dell’identità di genere e delle diversità subisce duri colpi e viene meno a fronte di dibattiti generati e degenerati nei talk show in una passerella di personaggi pubblici che si accapigliano, tra meschinità celtiche e volgarità levantine.
Difensori di asserzioni tanto garbate quanto astratte e avulse dalla realtà o litigiosi portatori di presunte concretezze, quasi sempre pretenziosi, saputi e arroganti, fastidiosi e supponenti quanto insopportabili , ciascuno intriso di una cultura angusta, intesa come coltivazione del proprio orticello, ci solleticano nel nostro bisogno di appartenenza, consentendoci di riconoscerci con compiacimento nell'una o nell'altro, lungo la sfilata che va dalle affabulazioni più raffinate agli interventi più grossolani.
Senza dubbio totem e tabù sono in agguato e lavorano in incognito.
E allora?
Come possiamo indagare con mente libera sull’origine della sessuofobia e omofobia in Italia, senza incappare in luoghi comuni?
Quando possiamo parlare di genere senza temere citazioni indirette al famigerato “gender”?
Quali risonanze in altri ambiti della nostra società vengono indirettamente provocate se si toccano i temi dell’identità e della diversità?
Ce n’è per tutti.