Il genere e gli scenari per la ricerca "gender"
fondamenti biologici e mutamenti epistemici
di Giuditta Pieti
"La società abita la sessualità del corpo" (Godelier)
I modelli di pensiero gender: genere, sessualità, categorie psicosociali
Il genere transitivo
A cavallo tra gli anni Settanta e Ottanta, le prospettive culturali emancipazioniste si occupano dei modelli interpretativi sull’identità. I mutamenti di paradigma, fortemente caratterizzati da un’impronta psicosociale e fondati sul pensiero fenomenologico, poststrutturalista e decostruttivista (in Italia si va affermando il cosiddetto “pensiero debole”), si concentrano sugli studi di genere, dalle teorie femministe alle ricerche sull’omosessualità.
Negli anni Novanta viene introdotta la teoria queer, la quale afferma che l’individuo non può essere definito in termini classificatori che lo riconducano a una categoria generale. Nasce il concetto di differenze multiple versus omo/eterosessuale. Il genere è “performativo” e opera a costruire l’identità.
Oggigiorno la disamina spazia tra variabili plurime: sesso cromosomico, genere e desiderio sessuale, travestitismo, ermafroditismo, ambiguità di genere e chirurgia per il cambiamento di sesso.
Le parole per esserci
Se il processo di costruzione del sé prenda avvio nelle categorie espresse dalla lingua naturale o da certezze biologiche -vale a dire se sia il linguaggio a costruire l'idea di sé e le distinzioni di genere/sesso oppure se sia cosa innata- è materia controversa. Secondo Lacan lo sviluppo del linguaggio e dell’immagine di sé si costruisce intorno ai tre anni (fase dello specchio) quando un bambino vede sé stesso in uno specchio e crede che l'immagine sia il suo "sé”. Questo modello psicologico contesta la concezione diffusa, mediata dal linguaggio, che prevede una categorizzazione degli individui o come maschi o come femmine.
Ma non è così ovunque. Ad esempio nella società polinesiana è profondamente radicata la pratica dei maschi che adottano ruoli di genere femminile. La cultura Maohi individua un terzo genere di persone nate con lo spirito mahu, alimentato con ruoli che tradizionalmente vengono considerati di un altro sesso. L'identità di genere è tradizionalmente basata sul ruolo della persona nella famiglia e in una famiglia con numerosi figli maschi uno veniva comunque educato come se fosse una bambina, anche per preservare la discendenza del clan se negli scontri i guerrieri morivano. Da adulto, il mahu veniva impiegato dai capi clan per svolgere funzioni di fiducia. Con l’arrivo degli occidentali alcuni mahu, ora chiamati rae rae, hanno cominciato a prostituirsi.
Dal modello binario alla percezione della complessità
Il dato biologico è definito reciprocamente da una struttura asimmetrica di maschile/femminile, in una logica binaria determinata dal sistema dominante. L'identità di genere non deriva necessariamente da quella biologica, e non riguarda l'orientamento sessuale.
Nel senso comune, a livello idiomatico, il sesso e il genere sono interscambiabili. Tradizionalmente gli individui vengono divisi in uomini e donne sulla base delle loro differenze biologiche. Gli studi di genere propongono invece una suddivisione, sul piano teorico-concettuale, tra due aspetti che concorrono a costruire l'identità. Il sesso (sex-sectus) costituisce un corredo genetico, un insieme di caratteri biologici, fisici e anatomici che producono un binarismo maschio / femmina, il genere (gender) rappresenta una costruzione culturale, la rappresentazione, definizione e incentivazione di comportamenti che rivestono il corredo biologico e danno vita allo status di uomo / donna. Sesso e genere non costituiscono due dimensioni contrapposte ma interdipendenti: sui caratteri biologici s’innesta il processo di produzione delle identità di genere che traducono le due dimensioni dell'essere uomo e donna. Il genere è invece un dato della cultura umana e il frutto di un persistente rinforzo sociale e culturale delle identità: viene creato quotidianamente attraverso una serie di interazioni che tendono a definire le differenze tra uomini e donne.
Soggettività singolare e plurale
L’appartenenza di genere, acquisita attraverso caratteristiche di comportamento, valori, atteggiamenti tipici del ruolo attribuito è condizionata e definita dai ruoli sociali.
A livello sociale viene richiesto di testimoniare continuamente la propria appartenenza di genere attraverso il comportamento, il linguaggio. Si parla a questo proposito di ruoli di genere.
In sostanza, il genere sarebbe un carattere appreso e non innato per cui se maschi e femmine si nasce, uomini e donne si diventa.
Il relativismo dei concetti è storicamente e culturalmente determinato: tempo e spazio segnano i confini del corpo e in tempi recenti la variabilità sessuale assume una caratteristica di "fluidità", che sfugge i confini dell'identità sessuale.
Natura/società; cultura/ambiente; fattori genetici/ruoli
Nella maggioranza della popolazione, l'identità -come si percepisce il proprio genere-, il ruolo di genere -come si è percepiti- e il sesso biologico -attributi sessuali apparenti- corrispondono. Con la scoperta dei cromosomi, la determinazione del sesso viene definita binariamente XX=femmina/XY=maschio. Tuttavia alcuni individui hanno combinazioni di cromosomi, ormoni e genitali che non seguono le definizioni tradizionali di "uomo" e "donna", mentre tra un individuo e l'altro i genitali possono variare nelle forme o nella tipologia. Anche gli attributi fisici non sempre corrispondono al sesso attribuito.
I fattori biologici che possono influenzare l'identità di genere comprendono la regolazione dei livelli ormonali sia in fase prenatale sia successivamente. I fattori sociali che possono influenzare l'identità di genere implicano le informazioni relative al genere veicolate da famiglia, mass media, e altre istituzioni. Variabile risulta l'età entro la quale l'identità di genere si forma definitivamente.
Il modello monosessuale
Uno spettro si aggira ancora oggi: la costruzione di un corpo monosessuale, con una versione di genere maschile (fondante) e una di genere femminile (subordinata).
Non si può liquidare questa tesi sottovalutandone le implicazioni biologiche, psicologiche e politiche. La gerarchia stabilita dalla interpretazione del corpo per cui un unico sesso si declina in due generi viene da lontano e perdura fino all’avvento dell’Illuminismo. Fin dall’Antichità, secondo Galeno, le donne non sono che uomini imperfetti che hanno gli stessi organi, ma rovesciati, organi paragonati agli occhi della talpa che non sono usciti in avanti, ma sono rimasti all’interno, segno evidente di imperfezione. Aristotele, paradossalmente, pur convinto sul piano filosofico dell’esistenza di due sessi diversi, in quanto naturalista, abbraccia la tesi monosessuale perché “maschio è un animale che genera in un altro, femmina quello che genera in se stesso”, precisando che un animale non è maschio o femmina nella sua totalità, ma nelle sue facoltà. Per cui “benché siano di sessi differenti, pure nell’insieme sono identiche a noi, perché quelli che hanno cercato più a fondo trovano che le donne non sono che uomini capovolti”. Nell’immaginario contemporaneo, e non solo nelle sacche più retrive del nostro sociale, colpisce la banalizzazione di chi concepisce la differenza sessuale regolata da una questione di sfumature più o meno profonde.
Ancora oggi il sesso fatica ad essere riconosciuto come categoria ontologica, non solo sociologica. E le radici del misconoscimento sono profonde. Quelli che adesso definiamo “sesso” e “genere” un tempo erano l’uno una convenzione, l’altro un fatto politico-culturale.
Pur con tutte le difficoltà legate allo statu nascenti della psicoanalisi e allo spirito dell’epoca, Freud, da spregiudicato teorico dell’ambiguità sessuale innata, si chiede cosa fa sì che un bambino si trovi nella condizione che ne farà un uomo o una donna. Il convincimento –indotto dal conformismo sociale- per cui l’amore sessuale eterosessuale sarebbe l’unica forma di attività sessuale possibile disvela come il potere della cultura plasmi (fingat in latino) il corpo nella forma desiderata. L’ideologia si appropria disinvoltamente dell’auctoritas della natura per legittimare lo status quo. E a partire da Freud ci si continua a interrogare su quali complicazioni e problematicità comporti costringere il corpo e quindi il sesso in categorie definite a priori.
Perché la sessualità va comunque al di là di schemi semplificatori giacché, per dirla con Nietzsche, è una sorta di opera d’arte.
I movimenti #nogender si fanno scudo della tradizione e della storia per proporre il #binarismo come modello #naturale.
Ma la concezione del #genere deriva dalla storia e dalla cultura di un popolo.
"Nella società polinesiana è profondamente radicata la pratica dei maschi che adottano #RuoliDiGenere femminile. La cultura Maohi individua un #TerzoGenere di persone nate con lo spirito #mahu, alimentato con ruoli che tradizionalmente vengono considerati di un altro sesso. L'#identità di genere è tradizionalmente basata sul ruolo della persona nella famiglia e in una famiglia con numerosi figli #maschi uno veniva comunque educato come se fosse una #bambina, anche per preservare la discendenza del clan se negli scontri i guerrieri morivano. Da adulto, il mahu veniva impiegato dai capi clan per svolgere funzioni di fiducia. Con l’arrivo degli occidentali alcuni mahu, ora chiamati rae rae, hanno cominciato a prostituirsi."
GPA “gravidanza per altri”, o meglio, “gestazione per altri”: il più controverso dei metodi di fecondazione assistita -la surrogazione di maternità e / o gravidanza surrogata e/o gestazione di sostegno, detta Gestazione per Altri -GpA, o Gestazione d'Appoggio -GdA, chiamata volgarmente e impropriamente “utero in affitto”- è il procedimento per cui una donna (madre portante) mette a disposizione il proprio utero e accetta di affrontare la gestazione e il parto per altri, persone singole o coppie (eterosessuali o omosessuali), cui si impegna a consegnare il neonato.
La fecondazione può essere effettuata con spermatozoi e ovuli sia della coppia sterile sia di donatori e donatrici attraverso il concepimento in vitro. In pratica una donna si presta a portare a termine una gravidanza, su commissione di single o coppie incapaci di generare o concepire un bambino/a.
Verso la metà degli anni Settanta Noel Keane, un avvocato statunitense stese i primi contratti di “surrogazione di maternità”.
Nel 1984 la Corte suprema del New Jersey invalidò il contratto di una coppia committente, a seguito di una campagna a favore della madre di Baby M, fuggita con la figlia.
Destino collettivo o scelta individuale
Dalla famiglia vissuta come organismo procreativo alla sua evoluzione a istituzione sociale, l’interrogativo è se la gravidanza sia questione esclusivamente personale, sotto il controllo della donna che la avvia e se gestazione, procreazione, maternità, responsabilità genitoriale siano prerogativa esclusivamente femminile in regime di monopolio.
Una legge che regolamenti il rapporto tra gravidanza e maternità, come è avvenuto tra gravidanza e interruzione di gravidanza, implica l'affrontare i temi della giustizia, legittimità, libertà, in rapporto con i soggetti nella loro singolarità.
Le costruzioni sociali
Dal diritto all’eutanasia, alla legge sull’aborto oggi il dibattito si svolge tra biologia e responsabilità, tra vincoli e scelta libera, quando l’equilibrio tra libertà e legittimità è rispettato.
Se madri si diventa per natura, le varianti storiche della genitorialità sono basate su fondamenti culturali relativi al ruolo dei genitori.
Nella Bibbia la gestazione per altri, connessa al patriarcato si apre con il caso di Abramo, la cui moglie Sara gli dà la sua schiava Agar perché si unisca a lui e generi un figlio che ella considererà proprio.
Le madri greche usavano affidare la cura dei figli prima alla nutrice e poi al pedagogo.
Secondo la mentalità antica, una seconda buona ragione per non occuparsi dei bambini piccoli stava nella loro naturale cattiveria. Soprattutto i filosofi sostenevano questa tesi lontana dalla nostra sensibilità: ancora incapaci di ragionare, i bambini non conoscendo la virtù non possono comportarsi di conseguenza; confondono il bene con il benessere personale, diventando così prepotenti, insolenti e villani. Nascendo per natura cattivi tali permangono fino all’acquisizione della cultura.
Nelle Confessioni di Agostino «Chi mi rammenterà il peccato della mia infanzia, se nessuno è innocente davanti a te, neppure il neonato che ha un giorno solo di vita sulla terra? Qual era dunque il mio peccato, allora? Forse l’avidità con cui boccheggiavo piangendo per il seno?».
DESTINI UMANI TRA DIFFERENZE DI GENERE E DIVERSITA DI SESSO
Giuditta Pieti
Maschio e femmina: distinzioni sessuali o teorie sul maschi1e e sul femminile in una vera e propria Odissea tra assimilazione e integrazione nella relazione umana?
Ciò che in origine è realtà vissuta si trasforma in storia di questa realtà che si interroga sui miti che fondano la distinzione sessuale. Struttura eterna della psiche oppure no? La questione è faccenda controversa.
Riconquistare tra soggetti il senso di appartenenza e insieme coniugare la diversità è la scommessa proposta da un pensiero articolato per cui le differenze naturali sono culturali e le differenze culturali sono naturali.
Fare piazza pulita, almeno fino al prossimo trasloco, di tutti i pre-giudizi che garantiscono identità inossidabili è operazione che all'individuo isolato non riesce, pena la follia o l'emarginazione culturale. Possiamo però tentare almeno di capire quanto i simboli, perdendo il loro significato originale, diventino nel tempo rigide costruzioni della natura umana che è più facile subire che comprendere.
Se l'individuo non vivesse in società, nascere maschio piuttosto che femmina poco gli cambierebbe la vita.
Ma poiché, vuoi per dipendenza, vuoi per competizione, l'uomo - nonché la donna - è "socievole animale", vale la pena di indagare, a fini pubblici e privati, se i due prototipi del rapporto di coppia sono iscritti nell'ambivalenza inconciliabile di un luogo di scontro o in quella conciliante di un luogo di incontro, o magari in entrambe, nel segno di un'ambiguità consapevole, fonte di possibilità per la realizzazione del soggetto plurale che integra senza confondere e distingue senza scindere, valorizzando le differenze.
Il simile ama il simile ovvero il modello monosessuale
In un mondo in cui l'uomo, e non la donna, era misura di tutte le cose non era prevista un'entità femminile autonoma.
Corpo e spirito nel modello monosessuale di riferimento, prevalente fin quasi ai tempi di Freud, sono legati così intimamente che concepire è inteso proprio come avere un'idea. La civiltà ha dato a lungo ragione di questo modello che di per sé appare paradossale e forse per questo ha retto per più di due millenni. Le ambivalenze maschio-femmina, padre-madre, caldo-freddo, ordine-caos erano contenute in un corpo che di per sé non segnava questi confini, posti invece dall'esterno. Una organizzazione di riferimento è di tipo gerarchico per cui il corpo femminile non è che la versione subordinata, più debole, del corpo maschile, una sorta di cattiva imitazione: la difettosità, intrinseca alla condizione umana, limite troppo doloroso per l'individuo, è attribuita di volta in volta al genere, alla specie, alla razza, presunti responsabili, per allontanare dal soggetto l'effetto intollerabile della mancanza.
Per migliaia di anni si era creduto che le donne avessero gli stessi organi genitali maschili, salvo per il fatto che nelle donne la mandi calore vitale e di perfezione ha avuto per effetto di trattene re all'interno quegli attributi che nel maschio erano visibili esterna mente: come gli occhi della talpa che non si sono aperti e non sono usciti in avanti, ma sono stati lasciati là imperfetti e quindi non per mettono alla talpa di vedere, pur essendo strutturati tal quale gli occhi degli altri animali. Del resto come l'uomo è il più perfetto degli animali, così il maschio è più perfetto della femmina. La talpa è un animale più perfetto degli animali del tutto privi di occhi, come la donna è più perfetta delle altre creature.
Se poi il lettore· poco perspicace non afferra la metafora, Galeno, il medico alessandrino che la sviluppa, propone di immaginare dapprima le parti maschili voltate in dentro e poi il processo inverso. Non è possibile trovare una sola parte maschile che non abbia semplicemente cambiato posizione.
Per Aristotele, da cui Galeno attinge, maschio e femmina non sono diversi sostanzialmente. La differenza è di tipo adattativo: le qualità di ciascun sesso comportano il vantaggio dell'uno o dell'altro nel badare alle faccende di casa o nel combattere. Quello che Aristotele intende per opposizione sessuale consiste nel fatto che si definisce maschio un animale che genera in un altro e femmina un animale che genera in se stesso. Maschio e femmina riguardano una facoltà, non la totalità dell'essere.
Tra l'altro la biologia aristotelica, collegata alla passione naturalistica per la varietà che deve dar conto del passaggio dall'uno al molteplice, tende a indebolire le differenze.
Le donne non sono che uomini rovesciati o uomini mancati. Hanno esattamente gli stessi organi dell'uomo, ma nei posti sbagliati: è quasi incredibile che fino al '700 non esista un termine tecnico in tutta la cultura occidentale per indicare la vagina.
Gli opposti si attraggono ovvero il modello bisessuale
Dai tempi in cui la donna non esisteva come essere a sé stante, a quelli della primitiva uguaglianza tra uomo e donna, a quelli in cui si verifica la separazione tra maschio e femmina passano interpretazioni diversificate. La presa di potere maschile trasforma la figura femminile, perché l'uomo deve liberarsi delle proprie furie.
Il crollo del modello monosessuale è il risultato di una rivoluzione sia conoscitiva, sia politico-sociale. Ne consegue la possibilità di un'attrazione degli opposti per cui ci deve essere qualcosa nel corpo che definisce il maschio in quanto l'opposto della femmina. Il corpo femminile viene inteso come l'opposto del corpo maschile: non più versioni degradanti gerarchicamente di un unico sesso, ma opposti ordinati orizzontalmente.
Ma i due sessi vengono "inventati" o "scoperti"? Ognuno può dire la sua.
In primo luogo la rivoluzione kantiana che mette in rapporto chi deve conoscere con la realtà che deve essere conosciuta chiede ragione di una più netta distinzione tra realtà e finzione. Lo scetticismo nascente nei confronti del sesso degli angeli va a segnare una precisa linea di demarcazione tra vero e falso, tra sesso biologico e sesso immaginario.
In secondo luogo, come sostiene Foucault, a un approccio in cui mondo dell'uomo e mondo della natura sono in una relazione che è contemporaneamente la garanzia e il limite della conoscenza si contrappone una concezione appiattita, fondata sul piano naturale, per cui fondamento della fisicità è il sesso.
Nella teoria della matematica insiemistica, l'intersezione è l'insieme degli elementi che associa a due insiemi dati un nuovo insieme, formato dai punti comuni ai due insiemi dati.
La categoria, d’interpretazione politica, individua le persone come un insieme di varianti che concorrono a formarne la soggettività, in un ruolo sociale legato a sesso, classe, colore della pelle, stato di salute, istruzione, orientamento sessuale.
Su ognuna di queste varianti possono pesare forme di oppressione e discriminazione specifiche e invisibili.
Il termine “intersezionalità”, adottato nel 1989, l’anno della caduta del muro di Berlino, viene teorizzato dalla giurista Kimberlé Crenshaw, per descrivere, indagandone cause ed effetti, la "intersezione" di diverse categorie: biologiche, sociali e culturali a partire dalla condizione, doppiamente subordinata, delle donne di colore nella società statunitense.
Così, su una donna nera, pesa il razzismo, ma anche il sessismo insito nel rapporto che l’uomo dal suo stesso colore di pelle ha interiorizzato nei suoi confronti, se poi sarà povera, disoccupata e senza istruzione, si aggiunge l’oppressione di una classe egemone dal punto di vista economico, se lesbica si aggiunge il peso dello stigma legato all’omosessualità.
L’interdisciplinarità della ricerca sugli women’s studies, partendo da una posizione strategica di lettura dei concetti di identità individuale e appartenenze di gruppo, modifica i modi tradizionali di lettura della discriminazione, sottolineando la valenza rilevante dell’intersezionalità.
Attualmente, i pregiudizi basati sull'intolleranza e l’esclusione sono interconnessi e creano forme di discriminazione riferite a una pluralità di dimensioni, intersecando linee di identità che non agiscono in modo indipendente.
All’interno dell’esercizio del potere, s’intersecano alcuni assi: sessismo, binarismo, razzismo, sfruttamento, colonialismo, intrecciati e simultaneamente operanti.
La logica di sistema dell’oppressione sociale che rappresenta l'intersezione si riferisce quindi a una realtà multidimensionale dove genere, orientamento sessuale, nazionalità, classe sociale, etnia, religione, età, disabilità si colorano di una discriminazione, che si può simboleggiare in attacchi xenofobi e omofobi sempre più aggressivi.
L’approccio intersezionale, attraverso una visione che articola i diversi assi attraverso i quali il potere sfrutta e sottomette gli individui, intende svelare e decostruire i meccanismi invisibili di disuguaglianza, sfruttamento, esclusione all’interno della società.
Non più categorie sociali in astratto e gruppi indistinti (i poveri, gli operai, le donne ecc.), ma un quadro ampio e complesso dove si situa un “posizionamento” che ha origine dalle differenze dei vissuti e delle diverse forme di oppressione.
I processi formati dal genere, dalla sessualità, dalla classe sociale si traducono, nell’approccio intersezionale della lettura di una condizione complessa, in generalizzazioni che individuano le diverse categorie, sottolineandone gli aspetti di pluralità nelle contrapposizioni donna/uomo, omosessuale/eterosessuale, nero/bianco. Restano ancora in sospeso, risultandone compresse,le rappresentazioni dell’identità singolare.
E questo genera qualche con-fusione.
Quella che segue è una lettera scritta da un gruppo di studiose e studiosi che denunciano i pregiudizi sessisti, omofobi e moralistici che informano le voci relative al genere e alla sessualità nella Treccani: vista l’autorevolezza dell’Enciclopedia, è gravissimo che tali voci non tengano assolutamente in considerazione le più recenti acquisizioni del dibattito scientifico e la sterminata bibliografia ormai esistente sull’argomento. La lettera è stata pubblicata sul quotidiano ”il Manifesto” e ha suscitato una reazione sulle pagine del “Secolo d’Italia” che preferisco non commentare. A breve sarà in rete uno spazio appositamente creato per le adesioni e per gli aggiornamenti su eventuali risposte e reazioni alla lettera. L’invito ovviamente è a diffondere e sottoscrivere. Seguiranno aggiornamenti.
Roma, 13 settembre 2013
Pregiatissimo Signor Ministro,
Ci rivolgiamo a Lei, non solo in quanto titolare del Dicastero competente a sovrintendere le attività culturali del nostro Paese, ma anche perché prima di assumere tale incarico è stato Direttore editoriale dell’Enciclopedia Treccani. Siamo un gruppo di studiose/i e intendiamo sottoporLe alcune considerazioni in merito ai contenuti di alcune voci relative a questioni di genere e sessualità del Dizionario di Medicina (2010) e dell’Enciclopedia, disponibili on-line al sito internet Treccani.it.
Si tratta delle voci “transgender”, “omosessualità”, “lesbismo”, “intersessualità”, “gender”. La lettura di tali voci – in cui il piano della valutazione morale e il piano dell’informazione scientifica risultano sovrapposti, con una netta ed evidente preponderanza del primo sul secondo – ha suscitato in noi uno spettro di reazioni che vanno dallo stupore all’indignazione.
Stupore, perché le voci sopra citate appaiono prive di un’adeguata bibliografia di riferimento e gli Autori/le Autrici sembrano ignorare l’enorme mole di studi prodotti nell’ultimo trentennio nei diversi ambiti delle scienze mediche, sociali e giuridiche, che smentiscono molto di quanto asserito in esse.
Indignazione, perché il lessico impreciso e i contenuti stigmatizzanti di quelle voci, diffusi da un soggetto storicamente autorevole nella divulgazione come l’Enciclopedia Treccani, rischiano non solo di annullare il lavoro di quanti – attiviste/i e studiose/i – ogni giorno combattono contro pregiudizi e violenze sessiste e omo-transfobiche ma, soprattutto, di dare legittimità a quei pregiudizi e a quelle violenze.
A sostegno di quanto andiamo dicendo, solo a titolo esemplificativo, Le riportiamo di seguito alcune delle affermazioni imprecise e/o infondate contenute nelle varie voci. Alla voce “Transessuali”, ad esempio, si può leggere che il transessuale in genere aborre l’omosessualità e cerca invece di cambiare quello che considera lo sbaglio della natura circa il suo corpo. A seconda delle circostanze sociali, economiche e legislative dell’ambiente in cui vive, il transessuale cerca rimedio in ormoni e altri farmaci, in interventi estetici e infine nel cosiddetto cambiamento di sesso chirurgico. In realtà, la chirurgia non ha affatto tale potere: può al massimo costruire una apparenza del genere sessuale agognato mentre distrugge irreparabilmente l’anatomia di quello originario.
L’Autore/Autrice della voce sembra ignorare che l’orientamento sessuale delle persone transessuali/transgender è – come per chiunque altra/o – slegato dall’identità di genere ed è quindi falsa l’asserzione che un soggetto transessuale/transgender “aborrisca” l’omosessualità. L’Autore/Autrice fornisce poi una sua ultronea valutazione personale – pesantemente stigmatizzante dell’esperienza della riattribuzione chirurgica del sesso – asserendo che non costituirebbe un “rimedio”, come invece la letteratura scientifica più accreditata nonché le esperienze e testimonianze delle stesse persone transessuali/transgender confermano.
Una visione distorta e ideologica della sessualità non eterosessuale è ancora evidente alla voce “Gender”, nella quale, anziché dare conto di un dibattito articolato sui significati culturali e politici della categoria analitica di “genere” e riportare – come sarebbe corretto e auspicabile – le argomentazioni di sostenitori e detrattori, semplicemente viene scritto:
In questo contesto, alcuni studi di antropologia evidenziano l’urgenza di recuperare una visione unitaria della persona, che permetta di cogliere tutte le dimensioni dell’individuo: la sua uguaglianza ontologica rispetto a tutti gli uomini e la sua specificità biologica e psichica, ossia la sua unicità nell’essere pienamente uomo o donna. La realizzazione dell’identità sessuata dell’individuo, infatti, che si manifesta nel suo essere uomo o donna, e che si esplicita nelle finalità stesse della sessualità (la riproduzione e la continuità intergenerazionale), presuppone necessariamente una dimensione corporea definita, sulla base della quale il soggetto possa sviluppare un’identità psichica, in grado di percepire il valore della diversità sessuale e di confrontarsi con essa.
L’adesione a una visione essenzialistica dell’identità sessuale, nello specifico eterosessuale e generativa, diviene per la voce in questione “necessaria” per una qualsivoglia identità psichica “sana”. In ossequio a tale quadro interpretativo, smentito in realtà dalla più recente ed autorevole letteratura scientifica, alla voce “Omosessualità” si può leggere che
a oggi, peraltro, quel che si può affermare con certezza è che, sulla base della evidente bipolarità sessuale uomo/donna, l’orientamento eterosessuale è innato (in-natura), ma può subire cambiamenti o modificazioni a causa di particolari interazioni del soggetto con l’ambiente familiare e sociale, generando un orientamento omosessuale.
Chi si occupa di queste tematiche sa bene che la questione della genesi dell’orientamento sessuale resta a oggi indecidibile: affermare che il desiderio eterosessuale sia “originario” è quindi semplicemente un espediente – a nostro giudizio – per indurre nel lettore una visione negativa del desiderio omosessuale. Nelle suddette voci viene inoltre dato per scontato che esista un’unica “diversità sessuale” (quella maschio/femmina) sulla base di una presunta “evidente bipolarità sessuale uomo/donna” quando ormai decenni di studi sull’argomento (dalle scienze biologiche a quelle umanistiche) hanno evidenziato come il dimorfismo sessuale non sia un universale culturale e che la fisiologia umana si presenta con numerose variazioni nello sviluppo sessuale (di tipo cromosomico, gonadico e/o anatomico), le cosiddette forme di intersessualità o DSD (differenze nello sviluppo sessuale). Il dubbio che gli Autori/le Autrici delle voci in questione non abbiano accuratamente preso in considerazione la bibliografia aggiornata sui temi trattati lo sollevano ancora le parole sul lesbismo:
Nelle donne omosessuali il comportamento psicosociale poco differisce da quello delle eterosessuali e raro è il comportamento pseudomascolino nello stile di vita; in genere si tende a conformare le proprie esperienze a quelle dei modelli eterosessuali, con una partner dominante, maschile (butch), e un surrogato della moglie, con frequente scambio di ruoli.
In breve, fedele alla tradizionalista visione indifferenziata della popolazione femminile l’Autore/l’Autrice minimizza la peculiarità dell’identità lesbica, sussumendola sotto uno schema interpretativo maschilista ed eteronormativo: egli/ella schiaccia infatti la complessità delle relazioni tra donne sullo scimmiottamento della coppia eterosessuale, utilizzando un lessico non scientifico (“surrogato della moglie”) e individuando “una partner dominante” all’interno della coppia. Solo ragioni di spazio e la preoccupazione di non abusare del suo tempo ci impediscono di continuare nel citarLe altri passaggi che non ci si aspetterebbe di trovare in un’opera scientifica che si ammanta del nome della Treccani.
Quello che Le chiediamo, come lettrici e lettori attente/i, come studiose/i e ricercatrici/ricercatori, è di invitare l’attuale responsabile editoriale dell’Enciclopedia Treccani o chiunque si occupi di monitorare il contenuto delle voci che Le abbiamo segnalato per il tramite del Professor Amato, che ci legge per conoscenza, a far revisionare seriamente le stesse voci, integrandole con riferimenti bibliografici aggiornati e scientificamente autorevoli che, nel caso, saremmo ben lieti/e di suggerire, dando conto dei recenti sviluppi degli studi sulle tematiche trattate.
Siamo certe/i che vorrà perseguire una corretta ed esaustiva informazione scientifica, scevra da pregiudizi e rispettosa dei diritti e delle diverse sensibilità di chi legge, tenendo fede così alla serietà che ha sempre contraddistinto l’Enciclopedia Treccani, e onorando in tal modo il suo passato di Direttore editoriale della stessa Enciclopedia, e il suo presente di Ministro della Repubblica..
Su un altro versante, quello artistico, diversi sono i significati che può assumere una parola. La parola in arte è polisemica e dà senso, altro senso e, dando nome a ciò che è, l'autorizza a esistere.
Fernando Pessoa, il grande poeta e scrittore portoghese è stato creatore e principale, forse unico, rappresentate dell’Intersezionismo, un movimento artistico che si propone di creare incroci e connessioni tra le arti partendo dalla frammentazione delle identità e delle forme e dall’astrazione simbolica che caratterizzava in quel periodo pittura (cubismo, modernismo, Mondrian), musica (le scale dodecafoniche di Schoenberg) e letteratura (Joyce, ma soprattutto le identità molteplici degli pseudonimi di Pessoa).
Dice Pessoa dell’intersezionismo: gli intersezionisti si propongono non di connettere ma di “fondere” musica, pittura e poesia, moltiplicandone le possibilità espressive non attraverso una somma, ma un potenziamento delle sensazioni.
L’unico modo di entrare in contatto con la realtà è alterarla attraverso l’incrocio di piani sensoriali diversi, questo fa il poeta
“Il poeta è un fingitore
finge così completamente
che arriva a fingere che è dolore
il dolore che davvero sente” (Pessoa)
“Il problema grave della Chiesa”: la questione omosessuale come ‘pietra di scandalo’ per la teologia cattolica.
Da tempo ormai [1]andiamo evidenziando come la ‘questione omosessuale’ rappresenti uno dei nodi teologici ed etici di maggior tensione e contraddizione all’interno della Chiesa cattolica, tanto nella sua dimensione gerarchico-istituzionale e quindi docente (Vescovi, cardinali, Papa) quanto in quella discente del ‘popolo di Dio’: dal sacerdote ai fedeli nelle loro varie espressioni comunitarie: dalla parrocchia ai vari movimenti ecclesiali.
A riconferma di questa centralità strategica della suddetta questione e quindi del suo essere oggi uno dei luoghi teorici in cui la Chiesa si trova in maggior tensione non solo e tanto con una generica cultura laica, quanto con le ricerche e le acquisizioni scientifiche provenienti dalle discipline psicologiche, sociologiche, antropologiche e bio-genetiche[2], è comparso, su Il Foglio del 9 settembre ultimo scorso, un paradigmatico articolo a firma Luca del Pozzo dal titolo, eloquente per il tono asseverativo: “Il problema grave della chiesa non è la pedofilia, ma la omoresia”. Ove con quest’ultimo neologismo Del Pozzo (peraltro in larga compagnia di cattolici ultraconservatori)[3] vuole indicare una concezione dell’omosessualità “in aperto contrasto con il Magistero della chiesa cristallizzato nel catechismo e nei documenti ecclesiali”. Concezione che di fatto, secondo Del Pozzo, rappresenterebbe un sofisticato e ‘satanico’ tentativo di ratificare l’orientamento omosessuale come compatibile con la visione cristiana dei rapporti tra i sessi, della famiglia, della procreazione. Ci troveremmo di fronte, insomma alla “espansione tra le fila dello stesso clero di una piaga purulenta che sta infettando il corpo di Cristo con grave scandalo dei fedeli”. Infezione altamente pericolosa perché la sua carica virale trova potenziamento e amplificazione presso sacerdoti e persino vescovi e cardinali. Così, per riprendere un articolo teologicamente omogeneo di Marco Tosatti[4], in Australia il Vescovo Vincent Long avrebbe scritto “una lettera pastorale relativa al sondaggio che si sta preparando in quel Paese sul tema del matrimonio” invitando i fedeli cristiani “a non rispondere con un semplice sì o no “circa la giustezza e naturalità della concezione cristiana del matrimonio; ma usare il discernimento come “opportunità per ascoltare quello che lo Spirito sta dicendo attraverso i tempi [giacché], nella storia, i nostri fratelli e sorelle gay, lesbiche (o LGBT) non sono stati trattati con rispetto, sensibilità e compassione”. Con queste parole, insomma, il vescovo ingenuamente o satanicamente aprirebbe la porta all’omo-eresia, preparando il terreno alla perversione morale: essendo l’omosessualità - è bene non scordarlo – un ‘disordine morale oggettivo’, un vero e proprio sconvolgimento del piano di Dio che ‘maschio e femmina li creò’ fatti per procreare in una unione indissolubile perché “naturalmente [per lo meno virtualmente già] sacramentale”.
Non ci stupisce che tanto Tosatti quanto Del Pozzo (quest’ultimo, lo rammentiamo è laureato in filosofia con baccalaureato in teologia) scorgano poi nel ‘povero’ padre James Martin, autore di quel Building Bridges da noi commentato nell'articolo[5] su suiGeneris, l’alfiere, il cavallo di Troia della lobby omosessuale che sta dentro il Vaticano, essendo egli ‘un noto sostenitore della causa LGBT’. Quando, come proprio avemmo modo di evidenziare nel suddetto nostro articolo, padre Martin (cui oggi esprimiamo solidarietà) si era limitato ad auspicare che la Chiesa Cattolica riconoscesse la moralità, non di per sé ‘disordinata’, all’amore omosessuale se non sessualmente agito. Si fermava, cioè, alla soglia di una semplice decenza psicologica: quella di dare spazio a un atteggiamento comprensivo e misericordioso nei confronti di quelle coppie omosessuali ove si pratica un amore rispettoso, di solidarietà, di condivisione dei dolori e delle gioie del vivere assieme, oltre che al riconoscimento del diritto di queste coppie ad essere cristianamente accolte come parti della chiesa, ‘sponde dello stesso fiume’ – avevamo commentato.
Ora, tutta questa nostra attenzione ad un ‘dibattito’ – feroce e preoccupante per quel suo agitare fumi satanici che spesso diventano persecutori! – non avrebbe un grande valore se riguardasse tensioni e tenzoni interne ad una piccola setta (religiosa o laica che sia). Coinvolgendo una realtà del peso culturale, ‘politico’ e simbolico della Chiesa cattolica, tali tensioni non possono non avere pesanti ricadute sulla percezione e sul commento sociale della realtà e sui vissuti di tutte le persone che manifestano una vita affettiva e sessuale non conforme alle norme del catechismo della chiesa cattolica. Se poi si pone mente al fatto che proprio questa teoria dell’omo-eresia viene denunciata, anzi gridata a gran voce da quell’originale ‘microfono di Dio/Deus’[6] che è Radio Maria per il tramite del suo Direttore, che proprio l’11 settembre scorso ha dato lettura dell’articolo di del Pozzo, con sottolineature sulfuree (l’ennesimo attacco satanico alla Chiesa!), allora la preoccupazione per le ricadute socio-culturali di queste tensioni intra-cattoliche si fa seria. Anche perché, dato l’attuale clima politico, possono andare ad implementare quelle tendenze intolleranti e primitive e quindi realmente pericolose che confondono le differenze con le diversità, la pluralità con la confusione, la complessità con il semplificazionismo: vero fondamento logico-retorico di ogni discorso autoritario.
Ma vi è un di più che dobbiamo aggiungere. I settori del cattolicesimo che si riconoscono in queste posizioni oltranziste - ove la “Tradizione” possiede una maiuscola iniziale, intesa come ‘malleus maleficarum’, piuttosto che come patrimonio vivente e quindi aperto al nuovo e al suo discernimento - questi settori stanno di fatto usando le tematiche omosessuali in modo obiettivamente ‘perverso’:
1) da un lato desiderano relativizzare e, di fatto, nascondere la gravità del problema scandaloso della pedofilia – vogliono rimuovere la pesantezza di fenomeni così imponenti come quello per cui il Paese più cattolico d’Europa (l’Irlanda) è stato al tempo stesso l’epicentro della più vergognosa serie di abusi sessuali su minori praticati dalla Chiesa e il primo Paese a votare per referendum la piena legittimazione del matrimonio omosessuale!;
2) dall’altro lato e conseguentemente [satanicamente?] vorrebbero far credere “che non è la pedofilia il vero problema, bensì l’omosessualità” perché quest’ultima sarebbe in ultima istanza la causa di quella – dato che la maggior parte dei sacerdoti pedofili sarebbero omosessuali in quanto le loro vittime erano in maggioranza bambini.
Ci troviamo qui di fronte ad un volgare paralogismo degno della più bassa retorica ciarlatanesca. Che nemmeno l’Azzeccagarbugli manzoniano oserebbe rivendicare come propria. In questo modo questi zelanti difensori di ‘cristalline [o cristallizzate?] Verità’ per un verso rimuovono una seria analisi della pedofilia – che certamente non è fenomeno in sé e per sé religioso e confessionale, ma che in contesti religiosi e confessionali produce danni morali e psicologici molto particolari: veri tradimenti dell’anima, nel senso più tenero e profondo del termine. Per l’altro diffondono una tesi menzognera insinuando nelle persone omosessuali una virtualità sadica e violenta, pedofila appunto, che, nella realtà della ricerca scientifica non solo non trova riscontro alcuno, ma anzi viene negata e dimostrata falsa.
Ancora una volta, per riprendere le parole – che oggi ci paiono più sincere – di padre Martin: per troppo tempo le persone LGBT sono state fraintese e perseguitate dalla chiesa e dalle chiese. E’ ora che questo cessi.
Ci limitiamo allora a questa considerazione che lasciamo alla riflessione di quelle tante persone cristiane e cattoliche che vogliono parlare in spirito di verità: quando si fa ricorso alla menzogna in modo così plateale per difendere una ‘Verità’ presentata come sacra, santa, inviolabile, non sorge il sospetto che in quella ‘Verità’ e, in subordine, in un certo modo di intenderla si nasconda qualcosa di profondamente antitetico a quella stessa verità? Quando, per difendere questa nobile Verità da un supposto pericolo o da un pericolo vissuto come reale si ricorre alla costruzione di un nemico inesistente ma, concediamo, vissuto come reale, non siamo di fronte a processi paranoici? Ad espressioni violente di una insicurezza profonda?
Non meno significative sono le parole pronunciate, sempre nel sinodo, da Papa Francesco: dopo aver riconosciuto “i diversi tipi di abuso compiuti da alcuni vescovi, sacerdoti, religiosi” che hanno “provocato … sofferenze che possono durare tutta la vita” ecco un salto improvviso sullo stato della Chiesa che sta vivendo un “momento difficile” perché l’Accusatore tramite noi [tramite la denuncia del fenomeno della pedofilia] attacca la Madre [Chiesa] e la Madre non si tocca”. La madre Chiesa non va sporcata, i figli siamo tutti sporchi” ma non la Madre, che “va difesa da tutti …”.
C’è da stupirsi se, a questo rimando alla Madre Santa e Pura, alla sua strenua difesa di fronte agli affronti e a delle “accuse che sono persecuzioni”, ci sia stata un’ovazione da parte dei vescovi?
Non ci troviamo di fronte – ci viene da notare psicoanaliticamente – ad un’abile strategia di evitamento e di spostamento che, per l’ennesima volta, dimostra dove davvero sia e si collochi il ’grave problema’ delle/nella Chiesa? E di come la ‘questione omosessuale’ di tale problema rappresenti un elemento essenziale, per le implicazioni che comporta rispetto ad una antropologia cattolica[7] ancora incapace di una serena comprensione dei contributi delle scienze psicologiche e umane nella descrizione e chiarificazione dei processi emotivo-affettivi (consci e non) che portano alla costruzione delle identità e degli orientamenti sessuali. Contributi che – almeno così ci pare – permettendo di meglio comprendere alcuni aspetti dell’affascinante fenomenologia dei legami d’amore, della loro complessa costruzione, delle condizioni del loro durare e strutturarsi nel tempo in forme anche oblative, sarebbero di aiuto per una pastorale ‘per le persone omosessuali’ veramente rispettosa della loro dignità, non solo di figli di Dio, ma di fratelli e sorelle in tutto e per tutto capaci di amore pieno e vero (così come è possibile nei limiti della nostra comune umana condizione).
A riprova di quanto la ‘questione omosessuale’ agiti la Chiesa Cattolica anche di fronte a semplici aperture di dialogo, registriamo, proprio mentre stavamo ‘chiudendo’ il nostro articolo, un ennesimo e paradigmatico exemplum: quello di una lettera di ferma e allarmata protesta, inviata al vescovo di Cremona Antonio Napolioni, al Rettore del Santuario di Caravaggio e al Presidente del Consultorio della Diocesi di Cremona da parte di trecento fedeli – che si riconoscono nel sito twelweshields.org [che invitiamo a visitare]. Il vescovo a dir di costoro, che si fregiano del titolo e dell’onore di essere difensori del santuario di Caravaggio, avrebbe, più o meno consapevolmente, dato spazio e legittimazione, così capitolando, “alla mentalità del mondo, in opposizione a Cristo e al Vangelo”. Tale capitolazione – vero tradimento della fede e della Verità – sarebbe dovuta all’apertura di un “Tavolo del dialogo” tra Chiesa e fedeli omosessuali, presentato peraltro nella forma di un semplice interrogativo “Quale presenza per i giovani LGBT nella chiesa?”. Per questi nuovi defensores fidei, l’aver usato la sigla LGBT, l’aver rappresentato in una locandina convegno gay e lesbiche che si tengono per mano, sarebbe la prova provata di come
"Questi incontri sono promossi e organizzati da realtà che tentano di raccogliere sotto l’egida del cattolicesimo persone omosessuali che non hanno nessuna intenzione di abbandonare il loro comportamento omosessuale, anzi tentano di modificare sostanzialmente l’insegnamento della Chiesa in merito”. Si tratta dunque di impedire l’ingresso di questo ‘fumo di Satana’ e ribadire con forza le condizioni reali e accettabili di una corretta ed evangelicamente fondata pastorale per le persone omosessuali, così come cristallinamente formulata nella Epistula de pastorali personarum homosexualium cura diffusa il 1 ottobre 1986 dalla Congregazione per la Dottrina della Fede, là dove recita: “L’attività omosessuale non esprime un’unione complementare, capace di trasmettere la vita, e pertanto contraddice la vocazione a un’esistenza vissuta in quella forma di auto-donazione che, secondo il Vangelo, è l’essenza stessa della vita cristiana.”
“Quando respinge le dottrine erronee riguardanti l’omosessualità, la Chiesa non limita ma piuttosto difende la libertà e la dignità della persona, intese in modo realistico e autentico.”
“Questa Congregazione (per la Dottrina della Fede, ndr) incoraggia pertanto i Vescovi a promuovere, nella loro diocesi, una pastorale verso le persone omosessuali in pieno accordo con l’insegnamento della Chiesa. Nessun programma pastorale autentico potrà includere organizzazioni, nelle quali persone omosessuali si associno tra loro, senza che sia chiaramente stabilito che l’attività omosessuale è immorale.”
Significativa è anche la risposta ufficiale del vescovo tramite le parole di don Antonio Facchinetti, che segue il ”gruppo di accompagnamento spirituale delle persone omosessuali cattoliche”. Il sacerdote tiene infatti a sottolineare (a nostro avviso quasi impaurito) che l’iniziativa del ‘Tavolo del dialogo’ “non è promossa dalle diocesi lombarde, ma dall’associazione nazionale “Cammini di speranza” tramite il gruppo “Alle querce di Mamre” che da alcuni anni nella nostra diocesi di adopera …. Per l’accompagnamento spirituale delle persone omosessuali cattoliche alla luce della parola di Dio e del Magistero della Chiesa”[8]
E’ proprio vero dunque: c’è un nuovo spettro che si aggira nell’Europa Cattolica: non è [più] il marxismo ma la semplice possibilità di una diversa comprensione della natura dei legami affettivi e sessuali, del loro complesso svilupparsi e arricchirsi di nuove forme e modalità. Certo, finché queste nuove forme dell’affettività e della sessualità verranno dogmaticamente definite aprioristicamente come ‘peccati’ – rinviamo il lettore al delizioso e profondo film La Diseducazione di Cameron Post, di Desirè Achavan – e quindi come ‘scandali di fronte allo Spirito’, allora a quel ‘Tavolo del dialogo’ non solo verranno a mancare le sedie, ma forse persino il legname – virtualmente ‘bruciato’.
A riprova di quanto questa insicurezza sia teologicamente pervasiva nel cuore stesso del Magistero, possiamo riportare due ‘piccoli’ dati emersi nel recente (ottobre 2018) Sinodo dei vescovi italiani ove il paragrafo concernente, si noti, l’apertura solo pastorale per le persone omosessuali è quello sul quale si è manifestato il più forte dissenso interno ai vescovi con 65 non placet contro i 178 placet: un terzo dei vescovi mantiene quindi una resistenza teologica alla semplice possibilità di favorire “percorsi di fede per le persone omosessuali”: in termini concreti ad accogliere questi ‘fratelli omosessuali’ entro la comunità ecclesiale sotto il vincolo dell’astinenza sessuale.
[1] Ultimo nostro articolo su suiGeneris n.11.
[2] Si veda per esempio: V. Lingiardi, N. Nardelli, Linee guida per la consulenza psicologica e la psicoterapia con persone lesbiche, gay e bisessuali, Raffaello Cortina (2014).
[3] Chi volesse avere una ricognizione sulla stampa conservatrice cattolica, può direttamente sfogliare La Bussola, giornale online e si accorgerà dell’articolata ramificazione di questo pensiero religioso austero, dogmatico, aspro e sicuro di sé, al punto da sembrare presentare talvolta quelle caratteristiche pre-razionali e delusionali che Anthony Storr ha così ben tratteggiato nel suo Feet of Clay, 1994, London.
[4] Vaticanista della Stampa.
[5] SuiGeneris n.3
[6] Ci riferiamo alle osservazioni critiche che Vito Mancuso ha ampiamente svolto nel suo Deus, Garzanti, 2008.
[7] E’ infatti ormai acquisita da parte di varie confessioni cristiane (anglicane, luterane, metodiste) quella distinzione tra sodomia e omosessualità non presente nella Tradizione e nella Scritttura, così come non presenti erano la teoria eliocentrica o l’evoluzione darwiniana. Tale distinzione ha premesso una rilettura non persecutoria della omosessualità e una costruzione inclusiva di essa nella nuova antropologia.
[8] Cfr. per un resoconto dettagliato il Corriere della Sera del 2 novembre u.s.
dott.Ivano Lanzini