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Nicoletta Buonapace

poeta

 

 

 

Maschile/femminile, paradigmi tra biologia e cultura, tradotti in molteplici figure, simboli, storie che costituiscono narrazioni soggette a costruzioni e decostruzioni; declinazioni del "genere" (la cui binarietà è messa oggi in discussione) da esplorare  e che entra in gioco nell’incontro con l'altro. Difficile parlare di "uomo" e "donna" da un punto di vista essenzialista, biologico, dal momento che ciascuno è storia, tessitura di relazioni, portatore di interpretazioni del mondo apprese grazie al linguaggio e grazie ad esso messe in discussione. Viviamo nell'oggi identità complesse, che non si riconoscono più all’interno di un pensiero a lungo dominante, costruito su stereotipi per rendere semplici soggettività in cui i vissuti, i modi d'essere, le varianti e i posizionamente sono molteplici e articolati. Anche la poesia si è confrontata con questi temi a partire dai miti, a volte classici a volte privati. Temi che anche la scrittura poetica, con esiti diversi, interroga talvolta scardinando, talvolta riconfermando un immaginario profondamente interiorizzato.

Monologo per Cassandra

 

Sono io, Cassandra.

E questa è la mia città sotto le ceneri.

E questi i miei nastri e la verga di profeta.

E questa è la mia testa piena di dubbi.

 

E' vero sto trionfando.

I miei giusti presagi hanno acceso il cielo.

Solamente i profeti inascoltati

godono di simili viste.

Solo quelli partiti con il piede sbagliato,

e tutto poté compiersi tanto in fretta

come se non fossero mai esistiti.

 

Ora lo rammento con chiarezza :

la gente al vedermi si fermava a metà.

Le risate morivano.

Le mani si scioglievano.

I bambini correvano dalle madri.

Non conoscevo neppure i loro effimeri nomi.

E quella  canzoncina sulla foglia verde -

nessuno la finiva in mia presenza.

 

Li amavo.

Ma amavo dall'alto.

Da sopra la vita.

Dal futuro. Dove è sempre vuoto

e nulla è più facile che vedere la morte.

Mi dispiace che la mia voce fosse dura.

Guardatevi dall'alto delle stelle – gridavo -

guardatevi dall'alto delle stelle.

Sentivano e abbassavano gli occhi.

 

Vivevano nella vita.

Permeati da un grande vento.

Con sorti già decise.

Fin dalla nascita in corpi da commiato.

Ma c'era in loro un'umida speranza,

una fiammella nutrita dal proprio luccichio.

Loro sapevano cos'è davvero  un istante,

oh, almeno uno, uno qualunque

prima di-

 

E' andata come dicevo io.

Solo che non ne viene nulla.

E questa è la mia veste bruciacchiata.

E questa è il mio ciarpame di profeta.

E questo è il mio viso stravolto.

Un viso che non sapeva di poter esser bello.

 

Wistawa Szymborska

 

Il settimo senso

 

Donne

che costruiscono nazioni

imparano

ad amare

uomini

che costruiscono nazioni

imparano

ad amare

bambini

costruttori di castelli di sabbia

vicino al mare che sale.

 

Audre Lorde

 

Volpe

 

Avevo bisogno forte di volpe   bisogno forte

di pelo, da molte tempo nessuna mi avvicinava

Avevo bisogno di riconoscimento

da un volto triangolato   occhi gialli di stoppia

che fronteggiano un corpo lungo, la fiera coda sacrificale

Avevo bisogno di storia di rovi   leggenda di volpe che corre tra i rovi

Volevo volpe

 

E la verità dei rovi che aveva dovuto attraversare

Avevo voglia di sentire se le mani scorrevano sulla pelliccia

o se il suo

coprpo poteva discorrere attraverso le mani   irte verità che

    stressano la superficie del pelo

pelle strappata che accusa la leggenda

coraggio di volpe in parole di volpe

 

Per un animale umano la richiesta d'aiuto

di un altro animale

è il grido più straziante e rivoltoso della terra

è una discesa ripida

Tornare indietro vale lacerarsi e lacerare   senza fine

   e da subito

tanto indietro, scappa dalla bocca

nel grido neonato del non ancora nato

il non ancora donna partorito    da una femmina

 

Adrienne Rich

 

Mania di solitudine

 

Mangio un poco di cena alla chiara finestra.

Nella stanza è gioa buio e si vede nel cielo.

A uscir fuori, le vie tranquille conducono

dopo un poco, in aperta campagna.

Mangio e guardo nel cielo - chi sa quante donne

stan mangiando a quest'ora - il mio corpo è tranquillo;

il lavoro stordisce il mio corpo e ogni donna.

 

Fuori, dopo la cena, verranno le stelle a toccare

sulla larga pianura la terra. Le stelle son vive,

ma non valgono queste ciliegie, che mangio da solo.

Vedo il cielo, ma so che tra i tetti di ruggine

qualche lume già brilla e che, sotto, si fanno rumori.

Un gran sorso e il mio corpo assapora la vita

delle piante e dei fiumi, e si sente staccato da tutto.

Basta un po' di silenzio e ogni cosa si ferma

nel suo luogo reale, così comìè fermo il mio corpo.

 

Ogni cosa è isolata davanti ai miei sensi,

che l'accettano senza scomporsi:un brusio di silenzio.

Ogni cosa nel buio la posso sapere

come so che il mio sangue trascorre le vene.

La pianura è un gran scorrere d'acque tra l'erbe,

una cena di tutte le cose. Ascolto i miei cibi nutrirmi le vene

di ogni cosa su questa pianura.

 

Non importa la notte. Il quadrato di cielo

mi sussurra di tutti i fragori, e una stella minuta

si dibatte nel vuto, lontana dai cibi,

dalle case, diversa. Non basta a se stessa,

e ha bisogno di troppe compagne. Qui, al buio, da solo,

il mio corpo è tranquillo e si sente padrone.

 

Cesare Pavese

Dorme il mio amico

 

Dorme il mio dolce amico sotto la tenda.

     Ed io veglio perché lui dorma.

Quando son solo è che aspetto il mio amico.

     Da lui non vado che la sera.

È questa l’ora di tutti i fuochi del Mezzogiorno;

La terra tutta discolora di sete, d’attesa e di paura;

L’ora in cui la volgarità degli impavidi vacilla,

In cui il pensiero dei saggi si confonde, —

In cui la virtù dei puri si corrompe, —

Tanto la sete è desiderio d’amore

E l’amore è sete di toccare, —

In cui tutto ciò che non è di fuoco

In questa vampa perde il suo colore.

C’è chi, a sera, sfinito da un caldo così grande, non ha più trovato il suo coraggio;

C’è chi, attraverso il deserto, ha cercato, tutta la notte, vanamente appresso al suo pensiero smarrito;

 

Grazie al mio amico

Senza paura attendo la dolce notte.

Quando è sera, il mio amico si sveglia;

Vado da lui, e lungamente ci consoliamo.

Accompagna i miei occhi nel giardino delle stelle.

Gli parlo dei grandi alberi del Nord

E delle fredde vasche in cui la luna,

Pastore celeste, come un amante, si bagna;

Lui mi spiega che solo le fuggevoli cose

Hanno inventato le nude parole

Mentre quelle che non devono perire

Tacciono sempre, avendo tutto il tempo di parlare —

E che la loro eternità le narra.

 

André Gide

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