Mettiamo il caso
a cura di Palmira Mucchiati

Uno spazio privilegiato di narrazione e riflessione su esperienze violente e dolorose, subite in ogni parte del nostro terreno psicosomatico e in ogni contesto consueto e non della nostra esistenza.
Nella famiglia di origine, nella propria coppia, a scuola, al lavoro
e in qualsiasi ulteriore ambito del quotidiano.
Per tutelare la riservatezza di chi scrive e delle storie raccontate garantiamo l’anonimato e l’utilizzo di nomi fittizi
È violenza anche se verbale
Chiara è una donna lesbica di 53 anni, dall’apparenza mascolina e sicura di sé ma molto tranquilla e riservata.
Una donna autonoma e vitale, ama vivere la vita e tutto ciò che le appartiene; sempre pronta ad affrontare le difficoltà dalle quali non è mai fuggita. Il contatto, urgente, con la terapeuta, avviene via mail su un episodio del quale non riesce a capacitarsi, intriso di violenza gratuita, inaspettata e improvvisa: è un’esperienza vissuta in un tranquillo e tiepido pomeriggio d’inverno che si trasforma in un brutto momento.
“Era un tranquillo e tiepido pomeriggio d’inverno e appunto, grazie a questo gradevole clima e libera da impegni lavorativi, decisi di fare una passeggiata nel centro di Milano.
Da molti mesi non venivo in città e passeggiai estasiata per le strade dello shopping consueto, soffermandomi a osservare le vetrine più particolari ed originali.
Quel giorno volevo farmi un regalo, un oggetto qualsiasi anche se inutile, purché accompagnasse quella sensazione di benessere che mi stavo regalando.
A quell’idea seguì il desiderio di concedermi subito un buon caffè e così entrai in un bar.
Ordinai il caffè, avvicinai la tazzina alle labbra e proprio mentre iniziavo a sorseggiarlo con molto piacere, con la coda dell’occhio vidi un uomo alto e grosso e apparentemente alterato che stava discutendo con il barista : sembrava incazzato con il mondo.
D’un tratto, come se si accorgesse di me, trovando infine il suo capro espiatorio, mi si rivolse gridando: “Ma guarda ‘sta qua come si presenta…che cazzo dobbiamo vedere! Tutta colpa vostra e della gente come voi! Lesbica di m…Fate schifo…Vi dovrebbero bruciare!”
Trangugiato di colpo il caffè, scappai letteralmente dal bar rumoroso e pieno di gente che sembrava non essersi nemmeno accorta dell’accaduto.
Percorsi pochi metri dall’uscita del bar, incontrai tre vigili urbani ai quali raccontai il fatto e indicai loro il locale .
Vidi che si apprestarono rapidamente a raggiungerlo e ringraziandomi per la segnalazione, mi precisarono che lo stavano cercando.”
L’esperienza di Chiara ci pone di fronte ad alcune considerazioni che caratterizzano l’evento omofobico: il pregiudizio, la discriminazione, lo stigma percepito, l’attivazione dell’omofobia interiorizzata.
Non solo l’omone iracondo ha fatto a Chiara violenza a parole, ma anche e forse soprattutto i presenti indifferenti hanno violato e disatteso una forma di solidarietà. E le parole dette dall’energumeno, quelle non dette dai presenti, lo stigma percepito e i pensieri di omofobia interiorizzata tracciano una profonda ferita generatrice di rifiuto di Sé, di senso di inferiorità, di colpa e di vergogna: pensieri, atteggiamenti e sentimenti profondamente dannosi e talvolta autodemolitivi, sino ad arrivare ad azioni autodistruttive anche estreme che possono esordire con l’isolamento e l’esclusione sociale.