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La condizione della donna nel corso dei secoli ha subito svariati cambiamenti, in quasi tutti i tempi e paesi essa è stata sottoposta nelle società del passato a un trattamento meno favorevole di quello riservato all’uomo, sia dal punto di vista giuridico, economico, civile tanto da rimanere esclusa da tutta una serie  di diritti e di attività sociali. Messa ai margini della società stessa.

E la storia ci insegna che a differenza delle civiltà arcaiche, nelle quali la donna era regina della famiglia e potente nella comunità perché generava la vita, nell’antica Grecia il suo ruolo mutò radicalmente. I grandi filosofi come Platone, Pitagora o Euripide la consideravano ignorante, inferiore, incompleta e soggetta alla potestà del padre per poi passare, dopo il matrimonio, alla potestà del marito. Un oggetto sul quale si aveva il possesso.

E così in epoca romana era sempre la donna quella figura del nucleo familiare sulla quale incombevano i compiti del mantenimento dei figli e della casa mentre le scelte erano sempre affidate all’uomo. Solo le mogli dei grandi imperatori erano artefici nella vita politica, di conseguenza potenti e libere.

Così nel Medioevo ma anche nel mondo cristiano la figura femminile aveva pochi diritti: quando contraeva matrimonio riceveva una dote ma perdeva il diritto di amministrarla poiché era il marito che la gestiva, era il marito che controllava la moglie, donne che non potevano uscire di casa senza essere accompagnate da un uomo, in quanto la loro libertà avrebbe minacciato l’ordine sociale.

Solo grazie al lavoro divennero più libere. Non erano più confinate in casa e sottomesse, le contadine lavoravano nei campi, le artigiane nella bottega del marito.

Fu dopo la Rivoluzione Francese che grazie a Napoleone la sfera dei diritti delle donne venne ampliata. Venne concesso loro di poter mantenere il proprio cognome anche in caso di matrimonio, di esercitare autonomamente attività commerciali e fu abolita la disparità di trattamento nella divisione dell’eredità del patrimonio familiare. Poi, nel mondo occidentale, tra fine Ottocento e inizio Novecento le rappresentanti del genere femminile iniziarono a far sentire la propria voce e a chiedere gli stessi diritti degli uomini, pari opportunità. L’industrializzazione contribuì in modo fondamentale al cambiamento perché le donne cominciarono a lavorare e ad essere consapevoli del loro valore quanto quello degli uomini se non di più e questo soprattutto durante le due guerre mondiali, quando dovettero sostituire nei loro compiti gli uomini chiamati alle armi.

Così andando avanti con il tempo, in Italia nel 1946 arrivarono i primi riconoscimenti: le donne votarono per la prima volta, nel 1948 la Costituzione stabilì l’uguaglianza tra i sessi e nel 1975 una legge decretò la parità di diritti tra marito e moglie. La donna oggi è lavoratrice e cittadina, non può più quindi sottostare al potere dell’uomo e la sua forza lavoro, da sempre esistita nella storia, ma non sempre riconosciuta, oggi ha un importante peso in piena società industrializzata, soprattutto da un punto di vista economico e produttivo. La donna di oggi riesce ad essere lo specchio del passato, ma anche la proiezione nel futuro. La donna manager, la donna presidente del Consiglio, la donna presidente della Repubblica, la donna presidente di Confindustria non sono però un risultato occasionale, ma il risultato di una guerra fatta di tante battaglie vinte e altrettante perse, ma che alla fine l’hanno portata, nel mondo occidentale, all’apice della piramide. 

Purtroppo la stessa emancipazione non è avvenuta nel mondo islamico in cui le donne sono ancora sottoposte all’autorità del padre, dei fratelli, del marito; il loro corpo, considerato una tentazione diabolica per i credenti è motivo di vergogna e per questo va velato.

Dunque la strada verso la parità dei sessi riamane ancora lunga e tortuosa. Tuttavia i progressi fatti nel mondo occidentale lasciano ben sperare che un giorno le donne di tutto il mondo possano finalmente avere gli stessi diritti dell’uomo e pari dignità e riconoscimento sociale.

di Stefania Lastoria

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