SGUARDI
Dott. Ivano Lanzini
Psicologo, Psicoterapeuta, Psicoanalista,
Docente di Psicoterapia psicoanalitica
Presso la Scuola Europea di Psicoterapia ipnotica
Rieccoci, in altra modalità
Pensieri in forma dispersa, per discorsi intrecciati
Quanto segue non è, ovviamente, una risposta-commento al racconto che la dottoressa Faioni ci ha regalato nel precedente numero di suiGeneris.
Fedele all’impostazione della Sezione SGUARDI, e, in particolare, alla sua natura sì dialogica ma non pacificante, non ‘politicamente corretta, e, al tempo stesso tutta ‘giocata’ sulla scommessa di una possibile composizione di…. scomposizioni di genere, ho deciso di espormi a considerazioni ‘a latere’. A margine. Scegliendo temi di dettaglio. Evitando di toccare temi e problemi troppo densi – e il racconto della dott.ssa Faioni ne evidenzia molti, sia pure in controluce e con la capacità allusiva tipica del narrare… della forma letteraria del racconto….
Li esporrò con sequenza numerale e però secondo una logica ericksoniana[1]: quella degli interspersal thoughts. Che non mi obbliga alla coerenza deduttiva, consentendo l’erraticità del pensiero. E, al lettore, forse, il piacere della lettura.
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E’ forse un retaggio della cultura patriarcale – ove il maschile-paterno-padronale è la voce altisonante e unica dei codici linguistici fondamentali – quello di guardare con sospetto e timore (e quindi con severità moralistica) il desiderio femminile. Desiderio: termine più ampio di ‘appetito/pulsione sessuale’. Perché implica la naturalezza e quindi il non bisogno di legittimazione dell’aspirare ad ottenere ciò che si desidera. Ove il ‘ciò’ è di certo il piacere sessuale interno al rapporto/relazione sessuale. Ma va oltre: perché fa del soggetto desiderante il titolare del desiderio: così costituendolo nella pienezza di Soggetto.
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E’ forse il retaggio di una deriva del femminismo[2] quella di non prendere consapevolezza di come la legittimazione di tale desiderio non solo sia patrimonio di ampi spezzoni della cultura contemporanea (che pure è ancora intrisa di strutture e codici maschiocentrici); ma sia anche reale espressione di vissuti e comportamenti maschili. Sia cioè acquisizione di un nuovo sentire amoroso dell’uomo verso la donna. Di uomini concreti verso donne concrete[3].
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Dato più rilevante, a mio modo di vedere – come clinico e psicoanalista – è che tale legittimazione nulla ha a che vedere col il permessivismo manipolatorio, consumistico, anti-femminile (ma oggi, in parte crescente, anche anti-maschile) della cultura massmediale e di parte della cultura accademica. O della cultura ‘alta’o supposta tale.[4] Avendo a che vedere con la realtà di nuovi modi di sentire e di desiderare la donna.
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“Desiderare la donna”: in questa semplice ma non banale espressione ‘si gioca’ non poca parte della attuale complessità dei rapporti tra i sessi (e i generi)[5], degli equivoci e dei fraintendimenti. Che si fanno in-solubili se e fino a quando non ‘si’ co-costruisce un ‘terzo’ che ci parla, che ci vede, ci sente. Un terzo, ripeto, co-costruito per differenza e conflitto. Costruito e costituito sullo scambio dialettico di insulti e difese, di attacchi e ritirate. Perché – dobbiamo prenderne atto – ‘non c’è pace tra gli ulivi’. Non è ancora possibile un vero dialogo in quanto squilibrato è ancora il rapporto di potere. Per questo ho voluto provocatoriamente e sfacciatamente scegliere questa espressione: ‘ desiderare la donna’[6], nella quale la donna è ancora posta come oggetto del desiderio: quindi come parte interna allo sguardo maschile. E questo, anche se, come clinico, devo rilevare il progressivo declino e contrazione dell’ampiezza di questo sguardo. Di contro – almeno per i ‘miei’ uomini in analisi – al progressivo aprirsi ad una relazionalità che fa del loro (permanente) oggetto-del-desiderio[7] un soggetto interlocutorio, interloquente, infine ‘ascoltato’ e accolto nella sua straniante differenza.
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Differenza: ben altro che diversità. Anche in questo semplice asserto è possibile trovare una possibile via di comunicazione tra …. differenti. Per usare un gioco di parole: è come se iniziassimo ad uscire da un mondo ove la donna è stata assunta[8] come ‘diversamente uomo’. Come variabile dipendente. Verso, stentatamente, verso un mondo ove i ‘sessi’/generi si ri-conoscono differenti. Proprio secondo uno dei più intriganti significati etimologici dei termini. Ove il dif-ferente è colui/colei che è posto più in là. Che è portato o spostato o riconosciuto ‘in là’. Dove io non sono. Mentre il di-verso è colui/colei che si volge in direzione opposta. Che di-verge.[9] Che mi si oppone nella sua estraneità. Una sorta di ‘inversione ad U’ rispetto alla ‘giusta’ direzione di marcia…. Associo qui il ricordo del lamento doloroso e disperso di un giovane omosessuale che, dichiarandosi tale alla madre, si sentì rispondere “avresti dovuto essere diverso: darmi dei nipotini….”.
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Certo, la differenza è sempre dif-ferenza. E non è pensabile che tra uomini e donne questa sia colmabile. Un simile pensiero – che occupa perversamente, a mio avviso, settori[marginali?] del ‘movimento femminile/femminista, -[10] implicherebbe un ‘errore bio-genetico’. A meno di sostenere che le f(r)atture del corpo siano inafferenti alle f(r)atture dell’anima. A meno di pensare che un pene e una vulva siano inafferenti alla ‘semplice’ ‘consumazione’ dell’esperienza del rapporto sessuale e relativa possibilità di piacere/orgasmatico. A meno che la differenza venga configurata come una espressione [11] di un errore o – come si dice oggi in una cultura iperralitivistica e quindi opinabile[12] – un dato di pura natura culturale[13].
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Ma torniamo a noi. Introducendo una sospensione, un détour provocatorio[14]: ma davvero Adamo ha espresso SOLO dominio e potere quando, vedendo il CORPO di Eva, è esploso in quel grido estatico : ‘questa è carne della mia carne’. Davvero possiamo liquidare questo capitolo – indubbiamente vincolata a QUELLA cultura[15]- come puro maschilismo? Davvero non è percepibile non solo e tanto il desiderio carnale, ma il riconoscimento affascinato e stupito di una IDENTITA’ DIFFERENTE? Davvero l’attuale dibattito sull’identità di genere può farsi così assordante e ideologico da occultare o sminuire la realtà della differenza sessuata? Di liquidare – perché questo in parte sta avvenendo – come puro ‘codice binario’ la fenomenologia eterosessuale e quindi la dinamica e il relativo ‘mistero’ o enigma dell’attrazione dei/tra i sessi?[16]
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Siamo troppo ‘vaccinati’ dall’esperienza dei nostri pazienti e dalla realtà del mondo che ci circonda (si pensi solo all’Afgahnistan!) per cadere nella illusione di una banale pacificazione tra i sessi/generi. E siamo altresì consapevoli della complessità dei processi di costruzione dei ‘generi’, del loro carattere molecolarmente plurale. Ma questo non inficia una ragionevole speranza[17] che i nostri figli o nipoti possano differenziarsi…. Diversamente.
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Prima di portare a termine questi ‘pensieri dispersi’, non mi è possibile concludere che con uno meno disperso degli altri, perché, a mio parere, attinente ad un aspetto cruciale delle dinamiche tra i sessi nella loro strutturale differenza. Mi riferisco alla fenomenologia della relazionalità. Del modo di intendere forme, tempi e significato della costruzione di una relazione amorosa. Tanto nei suoi aspetti prettamente affettivi quanto specificatamente sessuali ed erotici. Vi è qui la manifestazione – almeno alla luce di non poche evidenze psicoanalitiche, in psicoanalisi[18] - di differenza profonde, attinenti ai tempi della suddetta costruzione: tempi che si fanno spesso contrattempi, passi sbagliati o fuori tempo di danza; attinenti ai materiali di costruzione, e alla loro collocazione entro le mura-progetto della relazione; attinenti al modo in cui un incontro si trasforma in un approccio – che può essere molesto o di avvicinamento; di un approccio che si fa prima intesa o malinteso; ad un contatto che si fa avance o reciproca accoglienza; ad un bacio che distanzia o che è già co-penetrazione erotica; ad un ‘fare l’amore’ che è un comune com-prendersi o con-fondersi nella più totale solitudine.
Ecco, a questa fenomenologia, occorrerebbe prestare attenzione e coglierla nella complessità delle sue dimensioni biologiche, psicologiche-intrapsichiche e socio-culturali. Per poi (o prima?) ricollocare il tutto nella prospettiva problematica concernente l’impressionante fenomenologia del potere: del ‘ comanda’; del chi definisce, del chi ricatta, del chi sfrutta, del chi detta ‘legge’. Una fenomenologia che nella dialettica della differenza tra i sessi/generi trova un campo vistoso di manifestazione. Ma che, penso, appartenga alla . A qualcosa che in modo improprio ma metaforicamente efficace, possiamo ancora chiamare ‘natura dell’uomo’: dell’essere umano in quanto ente strutturalmente scomposto, intimamente conflittuale, ambivalente anche se, al tempo stesso, capace di discorso, di dialogo, di confronto.
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Lasciamo le pazienti lettrici e lettori con la consapevolezza che quanto sin qui artigianalmente esposto nella forma seria[20] del bricolage pone più interrogativi e problemi di quanti ne risolva. Questo era in effetti il nostro intento.
Grazie dell’ascolto.
[1] Milton H. Erickson, uno dei più importanti psicoterapeuti ipnotisti nonchè geniale maestro della comunicazione, amava utilizzare, con non pochi suoi pazienti un po’ ossessivi e rigidi cognitivamente, modalità comunicative creative atte a stimolare idee e associazioni libere e liberanti proprio perché fuori da nessi deduttivi, geometrici, come avviene spesso nella saggistica.
[2] si abbia la bontà di permettere un uso ampio del termine. Giacchè l’intera cultura del femminismo non lo contiene!
[3] Ancora una volta, devo chiedere alla lettrice/lettore la pazienza di tollerare l’indeterminatezza di alcuni termini – che, se specificati, ora, potrebbero compromettere nuovi sviluppi dialogici. E nuove, feconde, contrapposizioni di genere.
[4] Giovanni Gervis più volte ha sottolineato come la cultura del ceto intellettuale italiano sia in realtà una cultura medio-alta. Ove il ‘medio’ allude anche al mass-mediale. Cfr. Contro il relativismo, Laterza, 2006
[5] Lasciamo volutamente in sospeso, qui e per ora, l’analisi della distinzione onto-fenomenologica dei termini.
[6] Che fa volutamente eco al freudiano “Cosa vuole la donna”.
[7] Che Bunuel giustamente definisce ‘oscuro’.
[8] La scelta del verbo, con le sue allusioni religiose, è voluta!
[9] Del resto, ‘diverso’ è stato lo storico appellativo dell’omosessuale.
[10] Mi permetto il lusso di non aggiornarmi nel merito….rinviando ad alcuni scritti della Buttler.
[11] Biologica? Evoluzionistica? ‘divina?
[12] Occorre ricordare Platone per … ricordare che se tutto è opinabile sarà sempre l’opinione del più forte, ricco, potente: oggi diremo ‘famoso’ a vincere?
[13] Come se la cultura cadesse dal cielo sulla terra! Si noti il possibile, involontario ossimoro: ‘ natura culturale’!
[14] E rammentando, a quanti considerano la cultura classica un errore borghese di cui vergognarsi, come ci dovremmo scusare dell’impresa di Colombo!
[15] Che solo un superficiale potrebbe giudicare più arretrata rispetto a quella greca o romana, ove la condizione della donna era decisamente peggiore, moralmente, giuridicamente e socialmente?
[16] Ci pare pleonastico – nel contesto di questa nostra rivista – evidenziare come questo interrogativo in nulla contraddica la piena ‘legittimità, culturale e scientifica, di ’ una ri-composizione della fenomenologia transessuale (e non puramente eterosessuale) entro l’ampia fenomenologia della costruzione delle identità sessuali. Con i suoi percorsi complessi, ove biologia e cultura si intrecciano in modi, tempi e forme che ancora abbisognano un approfondimento di conoscenza e di affetto (senza il quale, forse, non può darsi effettiva conoscenza)!.
[17] Che la stessa troppo incompresa tradizione cristiana collega al coraggio e alla determinazione.
[18] Non mi è possibile qui spiegare la differenza tra queste due sfumature…
[19] E ben sappiamo, dopo Nietzche e Foucault che il ‘chi’ è diffuso, sistemico,r elativamente a-personale e cangiante.
[20] Forma seria quella del bricolage perché esprime il ‘coraggio’ dell’esporre i propri gusti, l’osare al di là della professionalità. Il coraggio della fantasia e dell’immaginazione, al punto che Claude Levi-Strauss parlava del bricolage come di una sorta di ‘riflesso sul piano dell’attività pratica della stessa attività mitopoietica”! A noi viene da aggiungere anche dell’attività aforistica.
Dott. Ivano Lanzini
Psicologo, Psicoterapeuta, Psicoanalista,
Docente di Psicoterapia psicoanalitica
Presso la Scuola Europea di Psicoterapia ipnotica
Dott. Marisa Faioni
Psicologa, Psicoterapeuta,
Psicoanalista relazionale
Ass. di Psicoanalisi Relazionale (A.P_Re)
APPROSSIMAZIONI PSICOANALITICHE SU INCONSCIO CULTURALE E DIFFERENZA DI GENERE.
Ciascuno di noi vive in un contesto culturale nel quale sono depositati, in forza del linguaggio verbale ed iconico che lo struttura e veicola, i codici fondamentali di valore, giudizio, orientamento attraverso i quali impariamo precocemente a pensarci, a sentirci e a vederci come bambine e bambini, ragazze e ragazzi, donne e uomini. In questo modo costruendo una identità personologica in larga misura inibente la nostra peculiare esperienza esistenziale; il nostro particolare modo di sentirci. In breve, costruendo stili relazionali, strutture di desiderio, schemi e modalità affettive, fantasie erotiche, aspettative di ‘felicità’ profondamente illusorie, sostanzialmente mistificate e mistificanti e soprattutto espressive delle relazioni di potere di cui il contesto culturale è in larga misura espressione e garanzia.
In quanto psicoanalisti impegnati nella comprensione delle forme di disagio, dolore, fraintendimento – nonché di prevaricazione anche violenta – che ancora connotano le relazioni tra i sessi – abbiamo ritenuto opportuno testimoniare questo nostro impegno che ci coinvolge, e niente affatto secondariamente come donna e uomo, attraverso questa rubrica. Ove tenteremo di evidenziare come quel potente ‘inconscio collettivo’ che è il sistema della cultura (nelle sue declinazioni alte e basse: dall’accademia universitaria al mondo massmediale; dalle istituzioni e agenzie formative fino alla famiglia ecc.) permei profondamente la tessitura emozionale, affettiva ed erotica dei nostri vissuti più intimi e apparentemente ‘genuini’, mettendo capo ad auto-inganni e fraintendimenti sia nei processi di autocomprensione delle nostre peculiarità ‘maschili e femminili’, sia di comunicazione e relazione con ‘l’altro sesso’.
A questo scopo, faremo riferimento da un lato alle risultanze delle nostre esperienze cliniche, e in primo luogo a quelle concernenti la costruzione dell’immaginario maschile e femminile che alberga nell’animo dei nostre/i pazienti; dall’altro all’analisi delle immagini e delle fantasie di genere che strutturano l’immaginario erotico in aderenza ai codici culturali dominanti. Dall’altro ancora, metteremo in risalto convergenze e divergenze nel nostro stesso modo di produrre un discorso coerente su questi temi. Questo nella convinzione – che cercheremo di dimostrare – che solo un approccio corale, e quindi inclusivo delle specificità esistenziali, culturali e psicologiche degli uomini e delle donne , e quindi di psicoanalisti donne e uomini, può mettere capo ad approssimazioni cliniche e concettuali abbastanza sensate e tali da riconoscere le differenze senza trasformarle in diversità oppositive. Così da farne occasione di reale crescita umana e culturale, ove non si tenta alcuna sintesi se questa non è praticabile e non per questo il dialogo, l’intesa empatica e persino amorosa debbano cessare.
Dott. Ivano Lanzini Dott.ssa Marisa Faioni
Psicologo, psicoterapeuta Psicologa, Psicoterapeuta
Docente di psicoterapia psicoanalitica Psicoanalista a orientamento
Scuola Europea di Psicoterapia Ipnotica Relazionale (A.P_Re)
Eccoli di nuovo: una premessa di metodo e di lettura.
Come anticipato nel precedente numero di suiGeneris, questa nostra nuova sperimentale/esperienziale rubrica, vuole operare come luogo di analisi e interrogazione sulla complessa e contraddittoria fenomenologia delle differenze di genere scandita dal convergere di prospettive disciplinari di matrice psicoanalitica. Tali prospettive sono da noi agite però nella piena (per quanto sempre approssimata) consapevolezza di come e quanto l’essere noi, donna e uomo, incida sulle modalità sia teoriche che esistenziali del nostro pur comune e convergente riflettere su cosa debba intendersi e ‘spiegarsi’ dentro la categoria di ‘differenza di genere’.
Riconoscendoci parti integranti ed interne alla stessa fenomenologia che tentiamo di descrivere e per omeopatiche approssimazioni chiarire, non pretendiamo nessun tipo di (impossibile) obiettività o neutralità scientifico-sperimentale; né alcuna enunciazione di tesi esplicative.
Piuttosto azzardiamo l’avventura, che ci vede complici e complicatamente differenti, di esporre – rendendolo così condivisibile e criticabile – il modo in cui si è venuto strutturando nel tempo un articolato dialogo su quelli che volta a volta ci si venivano palesando come luoghi di tensione e conflitto, di fraintendimento e sovrainterpretazione, di ambivalenza di desideri e paure, di lotte di potere e strategie di manipolazione interne alla dialettica emotivo-affettiva, erotica ed intellettuale, che struttura le relazioni uomo-donna.
Proprio in forza della natura e della storia peculiare e, per entrambi, ancora aperta di questa avventura esplorativa, abbiamo pensato di iniziare ad esporre il nostro percorso evitando uno stile espositivo di carattere saggistico e concettualmente ‘paludato’, optando invece per l’avventura della scrittura. In ciò confortati dalle prime esperienze psicoterapiche del primissimo Freud : del ‘giovane’ Freud, ancora psichiatra e neurologo, che, ascoltando le pazienti ‘isteriche’ si accorge di come quell’ascolto lo obbligava ad abbandonare lo schematismo riduzionistico di una diagnosi medica per passare alla stesura di ‘something like a short novel’ [Cfr. Studi sull’Isteria, Boringhieri, 2010).
Del resto, in contesto diverso ma non epistemicamente molto differente, lo stesso Umberto Eco, nella sua affascinante autobiografia intellettuale, sottolineava, citando la sovracoperta della prima edizione del Nome della rosa: “Se l’autore ha scritto un romanzo è perché ha scoperto nella sua maturità, che ciò di cui non si può teorizzare, si deve narrare”, parafrasando così Wittgenstein: “Di ciò di cui non si può parlare, si deve narrare”. [Cfr. La filosofia di Umberto Eco, La Nave di Teseo 2021]
Quello che qui presentiamo è quindi il racconto che la dott.ssa Marisa Faioni ha scritto aprendosi al piacere e al rischio del declinarsi in una ‘immaginifica’ (ma niente affatto immaginaria) narrazione ove una donna si dice e ci dice molto su temi e problematiche che lasciamo al lettore scoprire. E che, in buona misura, anticipano alcune delle tappe più significative del nostro percorso… in itinere.
Per ora, buona lettura.
ECCOLI DI NUOVO.
Eccoli di nuovo. Puntuali, come tutte le maledette notti. Come faranno domani mattina quando suonerà la sveglia, come faranno a lavorare? Io, distrutta dalla insonnia per colpa dei loro amplessi selvaggi e loro, loro freschi come trentenni dopo una notte d’amore e il pieno di endorfine. Ma se non li ho mai visti in faccia, cosa ne so di che età hanno? Del resto, è ovvio: esco di casa presto, torno tardi e non prendo mai l’ascensore. Al massimo, buongiorno e buonasera nell’atrio. Non so associare i visi dei condomini con il piano in cui vivono e nemmeno con i cognomi che guardo sul citofono mentre infilo le chiavi nel portone. Il mio, di cognome, è proprio lì al centro del quadrante, solitario, fra altri che vanno di due in due. È un palazzo di famiglie giovani, questo. Un continuo ricambio, le famiglie si ingrandiscono e se ne vanno. Io sono approdata qui, sola, non più giovane, non più al centro della vita di nessuno. So che questa sarà la mia ultima dimora. Ho finito con i traslochi, le convivenze a mezzo, un po’ qui, un po’ là, il raccattare vestiti e libri dalla casa di lui o vederlo fare le valigie prima di andarsene per sempre. Mi piaceva ascoltare il vociare di tutti quei bambini scorrazzanti nel giardino della materna in faccia alla finestra della sala, quella mattina di maggio assolata in cui sono venuta a vedere la casa. Ho firmato subito il contratto di affitto: un colpo di fulmine - uno dei tanti! Sarei stata bene in mezzo a tanta vitalità. Non mi danno fastidio i suoni degli umani, mi fanno compagnia. Però i vicini di sopra, questi che agitano i loro corpi sopra di me… un insopportabile fastidio. Sento persino cigolare il letto e il ritmo crescente dei loro lombi. Sono inquilini nuovi. Magari non è neanche una coppia fissa, magari lui se ne porta a casa una diversa per notte. Che pregiudizio! Magari è lei che se ne porta a casa uno diverso per notte. Come se io non avessi avuto le mie avventure. Stanno ridendo … Ridono spesso. Sembrano affiatati. Non è che puoi ridere con chiunque. Anche per ridere bisogna essere intimi, soprattutto se lo fai con una certa frequenza. Certamente saranno all’inizio della loro relazione: scopano e ridono, quanto ridono! A volte lei prorompe in un trillo mentre salgono insieme le scale del palazzo a notte fonda prima di sbattere la loro porta di casa. La maleducazione degli innamorati: esistono solo loro al mondo. Che tenerezza però! Saranno novelli sposi? “Novelli sposi”, che espressione antiquata! E chi si sposa più oggi, fra i giovani poi? Sono senz’altro più numerosi i matrimoni in seconde o terze nozze di coppie di oltre mezza età, matrimoni liberi da necessità sociali, figli già grandi, autonomi, una promessa più solida d’amore che a trent’anni. Anche io avrei potuto risposarmi, ma… mah, è andata così. Troppo complesso stare bene con un uomo, troppo impegno tenere insieme le differenze, le abitudini diverse instaurate in tanti anni quando ci si conosce dopo una certa età e precedenti esperienze finite male, o comunque finite. Se mi sveglio di notte devo leggere per riaddormentarmi, a lui dà fastidio la luce; lui russa e io ho il sonno leggero; io amo la montagna e lui il mare… Ma no, non sono queste le vere difficoltà. La verità è che - niente da fare - mai conosciuto un uomo che non abbia manifestazioni francamente maschiliste, se non addirittura misogine, e alla mia età non mi interessa più cercare di farmi valere e capire: una partita persa in partenza. Non ci si può intendere fino in fondo fra uomini e donne. Siamo radicalmente differenti. Poi, ho bisogno delle mie libertà. Non può che finire male. Forse sono diventata troppo insofferente o forse non voglio più soffrire. Sono stanca di abbandoni, miei o suoi, pianti, angosce, solitudini da imparare di nuovo a gestire. È che ho già tanto di cui occuparmi, io, un lavoro, gli amici, le arrampicate la domenica… Però mi mancano gli abbracci e le carezze su tutta la pelle. Senza, mi sento a volte come se non avessi confini precisi, come se potessi diluirmi nell’universo... come fossi una goccia di pioggia che cadendo si disperde nel mare. Per questo mi piace il corpo a corpo con le rocce: mi accolgono con le loro increspature, mi respingono con le loro sporgenze, e sono fatte di un materiale altro. Come i maschi? E il sesso, quello mi manca? Ho finito col pensarci poco: è che meno lo faccio, meno ne ho voglia e viceversa. Gli uomini: mi è sempre sembrato più semplice per loro, almeno per quelli che ho incontrato. Finché la relazione funzionava, avrebbero potuto farlo in qualsiasi momento e condizione, anche con poco tempo davanti. Per me, invece, ogni volta bisognava ricostruire una certa confidenza per poter essere penetrata, tranne che all’inizio, quando anche io avrei potuto farlo sempre, o tranne che in momenti speciali carichi di erotismo. Ma allora quale era l’ingrediente speciale che mi rendeva disponibile, al di fuori dell’innamoramento, a mescolare il mio corpo cavo al loro estroflesso? Qualcosa di fisico e mentale insieme. Difficile scindere. Quando non ne avevo voglia, a volte la stessa idea del sesso mi dava fastidio, quasi repulsione, un po’ come sentire questi di sopra. Però ci rimanevo male, dubitavo di me: è normale? Non sarò per caso arida, inibita? Frigida? Ma no! Proprio no, il piacere lo conosco. Eccolo, il loro letto riprende a muoversi … con un movimento sussultorio diverso… deve essere la seconda volta questa notte. Lui sarà sopra o sotto? Secondo me sotto, perché il movimento sembra più lento, come cavalloni del mare, è lei che guida e segue le sue onde di piacere, più fonde e più lunghe, meno frenetiche. E geme forte. Farà finta? Le donne fanno ancora finta di godere? Anche quelle giovani? Quante volte l’ho fatto io, per lui, per me! Anche se mi piaceva, certamente non raggiungevo l’orgasmo ad ogni rapporto. E quante volte gli uomini con cui sono stata a letto hanno scambiato il mio piacere, i miei umori, per orgasmo. Sembrava brutto deluderli, quando ne erano convinti, a volte narcisisticamente orgogliosi delle loro performances. E lui – come si chiamerà? Giacomo, Luca, Paolo? - anche lui non saprà distinguere? Certo che se lei – Greta, Clara, Giulia? - non glielo dice quando non viene, non gli fa capire cosa desidera, lui - Giacomo, Luca, Paolo - non è che proprio può capirlo da solo. Per gli uomini è inequivocabile, per le donne è un mistero. Lo dicono sempre, gli uomini: le donne sono un mistero. Un mistero che incute un po’ di ansia e un po’ di fastidio, anche a quelli più sensibili, come magistralmente canta Gaber: ad un certo punto, anche a un uomo generoso viene voglia di infischiarsene per allontanare il senso di colpa o di inadeguatezza del lasciare la propria donna insoddisfatta. Come diceva Gaber in quella bellissima canzone? “Maledizione. Non c’è la prova! È per questo che uno sta lì nudo come un cretino a domandarsi com’è andata. E sarò stato bravo? E non sarò stato bravo, e l’egoismo e l’abbandono e il non abbandono, e il cervello ti tic e ti tic e ti tic, e il gesto stonato e la sintonia e i tempi diversi, e ti tic e ti tic e le sarà piaciuto e non le sarà piaciuto. Uffa, la partita doppia degli orgasmi!”. Ma anche io mi sentivo in difetto quando non riuscivo a raggiungere l’orgasmo: “devo essere io che non riesco ad abbandonarmi fino in fondo” - giudicavo. A volte, però, non era colpa mia, erano loro che non ci sapevano proprio fare. Colpa, colpa… Che parola divisiva, una lama che taglia in due. A volte – se ci penso – mi rendevo sessualmente disponibile pur di sentirmi desiderabile. A volte, sentire il desiderio di lui mi aiutava a legittimare il mio. A volte, non avevo il coraggio di prendere io l’iniziativa: per paura del rifiuto, per paura di essere considerata … sfacciata, fuori luogo? A volte, invece, mi sottraevo se sentivo troppa aspettativa, come se … non saprei esattamente … come se significasse perdere la mia autodeterminazione? La sensazione sembra più simile a quella di quando la mamma ci restava male se io da piccola non volevo i suoi baci umidi. La mamma… Pisellino, pistolino, birillo … quanti nomignoli affettuosi per il sesso di mio fratello. Il mio… innominato. Già i maschi hanno il sesso tutto di fuori, lo conoscono a menadito fin da bambini, il loro giocattolo che cambia sorprendentemente forma e grandezza in coincidenza con certe sensazioni…. noi, noi donne ce l’abbiamo più… più intimo, così intimo da non conoscerlo nemmeno noi troppo bene, neanche nella forma. Cos’è che provoca esattamente quelle sensazioni di piacere? Clitoride, vulva, vagina, punto G? Nemmeno i cosiddetti scienziati ci hanno mai capito qualcosa di definitivo. Ho conquistato la confidenza con la mia rosellina da grande, molto grande. Inutile negarlo. Rosellina… ho dovuto cercarlo io questo nome, prendendolo a prestito dai racconti popolani della nonna milanese di Lucia, la mia amica delle medie. Però, non è che proprio mi venga spontaneo chiamarla così. C’è sempre come un certo senso di artificiosità. Forse sono stata troppo timida nel mostrare cosa piaceva alla mia rosellina in tutti gli anni del mio matrimonio: mi imbarazzava, e quando lui credeva che fossi pienamente soddisfatta ci sarebbe rimasto male a contraddirlo. Era così che si finiva con il costruire la trama delle falsità e poi ci sarebbe voluto troppo coraggio a smontarla. Ma se avessi parlato fin da subito, come avrebbe reagito? Magari ci saremmo inibiti di più. O magari avrebbe finito anche lui con il pensare con fastidio Uffa, come Gaber, ogni volta che avessimo fatto l’amore e non avesse avuto la certezza di avermi fatto venire. La doppia partita degli orgasmi. Non può essere tutto misurato come un bilancio che deve sistematicamente pareggiarsi. E, in fin dei conti, non era sempre così importante essere venuta. Eppure, spesso, ho provato rancore per l’ingiusta sorte biologica e pensato che non siamo fatti per capirci, donne e uomini, nemmeno nel sesso. Che agli uomini l’evoluzione ha dato il potere di godere grazie alle donne – a meno che queste non si sottraggano deliberatamente - e non viceversa: una donna non può imporsi in alcun modo se l’uomo con cui fa l’amore o fa sesso, per qualsiasi motivo, perde il desiderio. E questo attribuisce agli uomini un maggiore potere: sanno a priori che in linea di massima i loro desideri saranno soddisfatti. Principini anche in questo. “Sei la mia bella porca”. Queste pareti sono di cartapesta o loro urlano. Domani protesto con l’amministratore. Ma che gli dico: “quello di sopra – Giacomo, Luca, Paolo – dà della bella porca alla sua Greta, Clara, Giulia alle due di notte”? Ma lei cosa prova a sentirsi dare della porca? Ride di nuovo gorgheggiando. Questa poi, è peggio di un porno! Perché mai una donna che gode dovrebbe essere una porca? E perché lei ride? E lui pure e ora il letto cigola più forte. Le dice che è una porca, ma bella. Certo un linguaggio grezzo, ma vuoi vedere che è contento che lei provi piacere attraverso di lui? Forse è questo che esprime il porno, il desiderio di un uomo che anche la donna goda davvero senza riserve, che lei gli sia accessibile davvero fin nel recondito della sua carne senza menzogne, che la biologia diventi paritetica. E se così potesse divenire, allora non sarebbe più necessario prendere in prestito i maiali che godono grufolando nello sporco. Ma, al di là della biologia, il sesso e l’eccitazione con la loro carica eversiva potranno mai essere liberi? Il potere costituito non avrà sempre bisogno di imbrigliarli?... Ora sembra lui ad essere venuto. E lei? Lo starà abbracciando, si staranno coricando sul lato. Lui starà ansimando, il cuore a mille. Quello di lei pompa regolare. Come si starà sentendo? Magari è arrivata al plateau del piacere e non sarebbe comunque potuta arrivare all’orgasmo, non in questo rapporto, forse in uno successivo. O magari è rimasta lì, appesa alla sua crescente eccitazione da dover spegnere come un incendio. Starà dissimulando la frustrazione o gliela farà sentire con un silenzio malmostoso? Il silenzio delle donne. “Ci vuole troppa comprensione, per trasformare in dolcezza una cosa venuta male.” – sempre il grande Gaber. Silenzio. Non sento più nessun rumore… Lui si starà addormentando. “Leccami” – prorompe lei. Che coraggio! Deve essere una tipa sensuale. Sensuale, non sexy, come dicono gli uomini. La sensualità – ecco! - è tutta nella consapevolezza del proprio corpo, bello o brutto che sia, del proprio desiderio e del proprio piacere, al di là dello sguardo maschile. “Ti lecco tutta, mia regina”. Lei si può fidare di lui, lui può ancora provare piacere nel piacere di lei. Sembra un circolo virtuoso. L’avessi potuto scoprire io! Vorrei proprio vederli in faccia questi due extraterrestri.
*****
Una settimana dopo, nell’atrio, un panchetto coperto di panno nero e un libro aperto per testimoniare le condoglianze da parte dei condomini.
“Ma chi è morto, signor Ronie?”
“Non lo ha saputo dottoressa? L’inquilina che vive proprio sopra di lei. Pensi, solo sessantaquattro anni. Morta per un aneurisma, all’improvviso. E lui, il marito, è distrutto. Si erano sposati da poco. Che storia triste!”
Dott. Ivano Lanzini
Rieccoci, in altra modalità.
Pensieri in forma dispersa, per discorsi intrecciati.
Quanto segue non è, ovviamente, una risposta-commento al racconto che la dottoressa Faioni ci ha regalato nel precedente numero di suiGeneris.
Fedele all’impostazione della Sezione SGUARDI, e, in particolare, alla sua natura sì dialogica ma non pacificante, non ‘politicamente corretta, e, al tempo stesso tutta ‘giocata’ sulla scommessa di una possibile composizione di…. scomposizioni di genere, ho deciso di espormi a considerazioni ‘a latere’. A margine. Scegliendo temi di dettaglio. Evitando di toccare temi e problemi troppo densi – e il racconto della dott.ssa Faioni ne evidenzia molti, sia pure in controluce e con la capacità allusiva tipica del narrare… della forma letteraria del racconto….
Li esporrò con sequenza numerale e però secondo una logica ericksoniana[1]: quella degli interspersal thoughts. Che non mi obbliga alla coerenza deduttiva, consentendo l’erraticità del pensiero. E, al lettore, forse, il piacere della lettura.
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E’ forse un retaggio della cultura patriarcale – ove il maschile-paterno-padronale è la voce altisonante e unica dei codici linguistici fondamentali – quello di guardare con sospetto e timore (e quindi con severità moralistica) il desiderio femminile. Desiderio: termine più ampio di ‘appetito/pulsione sessuale’. Perché implica la naturalezza e quindi il non bisogno di legittimazione dell’aspirare ad ottenere ciò che si desidera. Ove il ‘ciò’ è di certo il piacere sessuale interno al rapporto/relazione sessuale. Ma va oltre: perché fa del soggetto desiderante il titolare del desiderio: così costituendolo nella pienezza di Soggetto.
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E’ forse il retaggio di una deriva del femminismo[2] quella di non prendere consapevolezza di come la legittimazione di tale desiderio non solo sia patrimonio di ampi spezzoni della cultura contemporanea (che pure è ancora intrisa di strutture e codici maschiocentrici); ma sia anche reale espressione di vissuti e comportamenti maschili. Sia cioè acquisizione di un nuovo sentire amoroso dell’uomo verso la donna. Di uomini concreti verso donne concrete[3].
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Dato più rilevante, a mio modo di vedere – come clinico e psicoanalista – è che tale legittimazione nulla ha a che vedere col il permessivismo manipolatorio, consumistico, anti-femminile (ma oggi, in parte crescente, anche anti-maschile) della cultura massmediale e di parte della cultura accademica. O della cultura ‘alta’o supposta tale.[4] Avendo a che vedere con la realtà di nuovi modi di sentire e di desiderare la donna.
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“Desiderare la donna”: in questa semplice ma non banale espressione ‘si gioca’ non poca parte della attuale complessità dei rapporti tra i sessi (e i generi)[5], degli equivoci e dei fraintendimenti. Che si fanno in-solubili se e fino a quando non ‘si’ co-costruisce un ‘terzo’ che ci parla, che ci vede, ci sente. Un terzo, ripeto, co-costruito per differenza e conflitto. Costruito e costituito sullo scambio dialettico di insulti e difese, di attacchi e ritirate. Perché – dobbiamo prenderne atto – ‘non c’è pace tra gli ulivi’. Non è ancora possibile un vero dialogo in quanto squilibrato è ancora il rapporto di potere. Per questo ho voluto provocatoriamente e sfacciatamente scegliere questa espressione: ‘ desiderare la donna’[6], nella quale la donna è ancora posta come oggetto del desiderio: quindi come parte interna allo sguardo maschile. E questo, anche se, come clinico, devo rilevare il progressivo declino e contrazione dell’ampiezza di questo sguardo. Di contro – almeno per i ‘miei’ uomini in analisi – al progressivo aprirsi ad una relazionalità che fa del loro (permanente) oggetto-del-desiderio[7] un soggetto interlocutorio, interloquente, infine ‘ascoltato’ e accolto nella sua straniante differenza.
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Differenza: ben altro che diversità. Anche in questo semplice asserto è possibile trovare una possibile via di comunicazione tra …. differenti. Per usare un gioco di parole: è come se iniziassimo ad uscire da un mondo ove la donna è stata assunta[8] come ‘diversamente uomo’. Come variabile dipendente. Verso, stentatamente, verso un mondo ove i ‘sessi’/generi si ri-conoscono differenti. Proprio secondo uno dei più intriganti significati etimologici dei termini. Ove il dif-ferente è colui/colei che è posto più in là. Che è portato o spostato o riconosciuto ‘in là’. Dove io non sono. Mentre il di-verso è colui/colei che si volge in direzione opposta. Che di-verge.[9] Che mi si oppone nella sua estraneità. Una sorta di ‘inversione ad U’ rispetto alla ‘giusta’ direzione di marcia…. Associo qui il ricordo del lamento doloroso e disperso di un giovane omosessuale che, dichiarandosi tale alla madre, si sentì rispondere “avresti dovuto essere diverso: darmi dei nipotini….”.
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Certo, la differenza è sempre dif-ferenza. E non è pensabile che tra uomini e donne questa sia colmabile. Un simile pensiero – che occupa perversamente, a mio avviso, settori[marginali?] del ‘movimento femminile/femminista, -[10] implicherebbe un ‘errore bio-genetico’. A meno di sostenere che le f(r)atture del corpo siano inafferenti alle f(r)atture dell’anima. A meno di pensare che un pene e una vulva siano inafferenti alla ‘semplice’ ‘consumazione’ dell’esperienza del rapporto sessuale e relativa possibilità di piacere/orgasmatico. A meno che la differenza venga configurata come una espressione [11] di un errore o – come si dice oggi in una cultura iperralitivistica e quindi opinabile[12] – un dato di pura natura culturale[13].
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Ma torniamo a noi. Introducendo una sospensione, un détour provocatorio[14]: ma davvero Adamo ha espresso SOLO dominio e potere quando, vedendo il CORPO di Eva, è esploso in quel grido estatico : ‘questa è carne della mia carne’. Davvero possiamo liquidare questo capitolo – indubbiamente vincolata a QUELLA cultura[15]- come puro maschilismo? Davvero non è percepibile non solo e tanto il desiderio carnale, ma il riconoscimento affascinato e stupito di una IDENTITA’ DIFFERENTE? Davvero l’attuale dibattito sull’identità di genere può farsi così assordante e ideologico da occultare o sminuire la realtà della differenza sessuata? Di liquidare – perché questo in parte sta avvenendo – come puro ‘codice binario’ la fenomenologia eterosessuale e quindi la dinamica e il relativo ‘mistero’ o enigma dell’attrazione dei/tra i sessi?[16]
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Siamo troppo ‘vaccinati’ dall’esperienza dei nostri pazienti e dalla realtà del mondo che ci circonda (si pensi solo all’Afgahnistan!) per cadere nella illusione di una banale pacificazione tra i sessi/generi. E siamo altresì consapevoli della complessità dei processi di costruzione dei ‘generi’, del loro carattere molecolarmente plurale. Ma questo non inficia una ragionevole speranza[17] che i nostri figli o nipoti possano differenziarsi…. Diversamente.
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Prima di portare a termine questi ‘pensieri dispersi’, non mi è possibile concludere che con uno meno disperso degli altri, perché, a mio parere, attinente ad un aspetto cruciale delle dinamiche tra i sessi nella loro strutturale differenza. Mi riferisco alla fenomenologia della relazionalità. Del modo di intendere forme, tempi e significato della costruzione di una relazione amorosa. Tanto nei suoi aspetti prettamente affettivi quanto specificatamente sessuali ed erotici. Vi è qui la manifestazione – almeno alla luce di non poche evidenze psicoanalitiche, in psicoanalisi[18] - di differenza profonde, attinenti ai tempi della suddetta costruzione: tempi che si fanno spesso contrattempi, passi sbagliati o fuori tempo di danza; attinenti ai materiali di costruzione, e alla loro collocazione entro le mura-progetto della relazione; attinenti al modo in cui un incontro si trasforma in un approccio – che può essere molesto o di avvicinamento; di un approccio che si fa prima intesa o malinteso; ad un contatto che si fa avance o reciproca accoglienza; ad un bacio che distanzia o che è già co-penetrazione erotica; ad un ‘fare l’amore’ che è un comune com-prendersi o con-fondersi nella più totale solitudine.
Ecco, a questa fenomenologia, occorrerebbe prestare attenzione e coglierla nella complessità delle sue dimensioni biologiche, psicologiche-intrapsichiche e socio-culturali. Per poi (o prima?) ricollocare il tutto nella prospettiva problematica concernente l’impressionante fenomenologia del potere: del ‘ comanda’; del chi definisce, del chi ricatta, del chi sfrutta, del chi detta ‘legge’. Una fenomenologia che nella dialettica della differenza tra i sessi/generi trova un campo vistoso di manifestazione. Ma che, penso, appartenga alla . A qualcosa che in modo improprio ma metaforicamente efficace, possiamo ancora chiamare ‘natura dell’uomo’: dell’essere umano in quanto ente strutturalmente scomposto, intimamente conflittuale, ambivalente anche se, al tempo stesso, capace di discorso, di dialogo, di confronto.
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Lasciamo le pazienti lettrici e lettori con la consapevolezza che quanto sin qui artigianalmente esposto nella forma seria[20] del bricolage pone più interrogativi e problemi di quanti ne risolva. Questo era in effetti il nostro intento.
Grazie dell’ascolto.
[1] Milton H. Erickson, uno dei più importanti psicoterapeuti ipnotisti nonché geniale maestro della comunicazione, amava utilizzare, con non pochi suoi pazienti un po’ ossessivi e rigidi cognitivamente, modalità comunicative creative atte a stimolare idee e associazioni libere e liberanti proprio perché fuori da nessi deduttivi, geometrici, come avviene spesso nella saggistica.
[2] si abbia la bontà di permettere un uso ampio del termine. Giacché l’intera cultura del femminismo non lo contiene!
[3] Ancora una volta, devo chiedere alla lettrice/lettore la pazienza di tollerare l’indeterminatezza di alcuni termini – che, se specificati, ora, potrebbero compromettere nuovi sviluppi dialogici. E nuove, feconde, contrapposizioni di genere.
[4] Giovanni Gervis più volte ha sottolineato come la cultura del ceto intellettuale italiano sia in realtà una cultura medio-alta. Ove il ‘medio’ allude anche al mass-mediale. Cfr. Contro il relativismo, Laterza, 2006
[5] Lasciamo volutamente in sospeso, qui e per ora, l’analisi della distinzione onto-fenomenologica dei termini.
[6] Che fa volutamente eco al freudiano “Cosa vuole la donna”.
[7] Che Bunuel giustamente definisce ‘oscuro’.
[8] La scelta del verbo, con le sue allusioni religiose, è voluta!
[9] Del resto, ‘diverso’ è stato lo storico appellativo dell’omosessuale.
[10] Mi permetto il lusso di non aggiornarmi nel merito….rinviando ad alcuni scritti della Buttler.
[11] Biologica? Evoluzionistica? ‘divina?
[12] Occorre ricordare Platone per … ricordare che se tutto è opinabile sarà sempre l’opinione del più forte, ricco, potente: oggi diremo ‘famoso’ a vincere?
[13] Come se la cultura cadesse dal cielo sulla terra! Si noti il possibile, involontario ossimoro: ‘ natura culturale’!
[14] E rammentando, a quanti considerano la cultura classica un errore borghese di cui vergognarsi, come ci dovremmo scusare dell’impresa di Colombo!
[15] Che solo un superficiale potrebbe giudicare più arretrata rispetto a quella greca o romana, ove la condizione della donna era decisamente peggiore, moralmente, giuridicamente e socialmente?
[16] Ci pare pleonastico – nel contesto di questa nostra rivista – evidenziare come questo interrogativo in nulla contraddica la piena ‘legittimità, culturale e scientifica, di ’ una ri-composizione della fenomenologia transessuale (e non puramente eterosessuale) entro l’ampia fenomenologia della costruzione delle identità sessuali. Con i suoi percorsi complessi, ove biologia e cultura si intrecciano in modi, tempi e forme che ancora abbisognano un approfondimento di conoscenza e di affetto (senza il quale, forse, non può darsi effettiva conoscenza)!.
[17] Che la stessa troppo incompresa tradizione cristiana collega al coraggio e alla determinazione.
[18] Non mi è possibile qui spiegare la differenza tra queste due sfumature…
[19] E ben sappiamo, dopo Nietzche e Foucault che il ‘chi’ è diffuso, sistemico,r elativamente a-personale e cangiante.
[20] Forma seria quella del bricolage perché esprime il ‘coraggio’ dell’esporre i propri gusti, l’osare al di là della professionalità. Il coraggio della fantasia e dell’immaginazione, al punto che Claude Levi-Strauss parlava del bricolage come di una sorta di ‘riflesso sul piano dell’attività pratica della stessa attività mitopoietica”! A noi viene da aggiungere anche dell’attività aforistica.
Dott. Ivano Lanzini
Psicologo, Psicoterapeuta, Psicoanalista,
Docente di Psicoterapia psicoanalitica
Presso la Scuola Europea di Psicoterapia ipnotica
Dott. Marisa Faioni
Psicologa, Psicoterapeuta,
Psicoanalista relazionale
Ass. di Psicoanalisi Relazionale (A.P_Re)
APPROSSIMAZIONI PSICOANALITICHE SU INCONSCIO CULTURALE E DIFFERENZA DI GENERE.
Ciascuno di noi vive in un contesto culturale nel quale sono depositati, in forza del linguaggio verbale ed iconico che lo struttura e veicola, i codici fondamentali di valore, giudizio, orientamento attraverso i quali impariamo precocemente a pensarci, a sentirci e a vederci come bambine e bambini, ragazze e ragazzi, donne e uomini. In questo modo costruendo una identità personologica in larga misura inibente la nostra peculiare esperienza esistenziale; il nostro particolare modo di sentirci. In breve, costruendo stili relazionali, strutture di desiderio, schemi e modalità affettive, fantasie erotiche, aspettative di ‘felicità’ profondamente illusorie, sostanzialmente mistificate e mistificanti e soprattutto espressive delle relazioni di potere di cui il contesto culturale è in larga misura espressione e garanzia.
In quanto psicoanalisti impegnati nella comprensione delle forme di disagio, dolore, fraintendimento – nonché di prevaricazione anche violenta – che ancora connotano le relazioni tra i sessi – abbiamo ritenuto opportuno testimoniare questo nostro impegno che ci coinvolge, e niente affatto secondariamente come donna e uomo, attraverso questa rubrica. Ove tenteremo di evidenziare come quel potente ‘inconscio collettivo’ che è il sistema della cultura (nelle sue declinazioni alte e basse: dall’accademia universitaria al mondo massmediale; dalle istituzioni e agenzie formative fino alla famiglia ecc.) permei profondamente la tessitura emozionale, affettiva ed erotica dei nostri vissuti più intimi e apparentemente ‘genuini’, mettendo capo ad auto-inganni e fraintendimenti sia nei processi di autocomprensione delle nostre peculiarità ‘maschili e femminili’, sia di comunicazione e relazione con ‘l’altro sesso’.
A questo scopo, faremo riferimento da un lato alle risultanze delle nostre esperienze cliniche, e in primo luogo a quelle concernenti la costruzione dell’immaginario maschile e femminile che alberga nell’animo dei nostre/i pazienti; dall’altro all’analisi delle immagini e delle fantasie di genere che strutturano l’immaginario erotico in aderenza ai codici culturali dominanti. Dall’altro ancora, metteremo in risalto convergenze e divergenze nel nostro stesso modo di produrre un discorso coerente su questi temi. Questo nella convinzione – che cercheremo di dimostrare – che solo un approccio corale, e quindi inclusivo delle specificità esistenziali, culturali e psicologiche degli uomini e delle donne , e quindi di psicoanalisti donne e uomini, può mettere capo ad approssimazioni cliniche e concettuali abbastanza sensate e tali da riconoscere le differenze senza trasformarle in diversità oppositive. Così da farne occasione di reale crescita umana e culturale, ove non si tenta alcuna sintesi se questa non è praticabile e non per questo il dialogo, l’intesa empatica e persino amorosa debbano cessare.
Dott. Ivano Lanzini Dott.ssa Marisa Faioni
Psicologo, psicoterapeuta Psicologa, Psicoterapeuta
Docente di psicoterapia psicoanalitica Psicoanalista a orientamento
Scuola Europea di Psicoterapia Ipnotica Relazionale (A.P_Re)
Eccoli di nuovo: una premessa di metodo e di lettura.
Come anticipato nel precedente numero di suiGeneris, questa nostra nuova sperimentale/esperienziale rubrica, vuole operare come luogo di analisi e interrogazione sulla complessa e contraddittoria fenomenologia delle differenze di genere scandita dal convergere di prospettive disciplinari di matrice psicoanalitica. Tali prospettive sono da noi agite però nella piena (per quanto sempre approssimata) consapevolezza di come e quanto l’essere noi, donna e uomo, incida sulle modalità sia teoriche che esistenziali del nostro pur comune e convergente riflettere su cosa debba intendersi e ‘spiegarsi’ dentro la categoria di ‘differenza di genere’.
Riconoscendoci parti integranti ed interne alla stessa fenomenologia che tentiamo di descrivere e per omeopatiche approssimazioni chiarire, non pretendiamo nessun tipo di (impossibile) obiettività o neutralità scientifico-sperimentale; né alcuna enunciazione di tesi esplicative.
Piuttosto azzardiamo l’avventura, che ci vede complici e complicatamente differenti, di esporre – rendendolo così condivisibile e criticabile – il modo in cui si è venuto strutturando nel tempo un articolato dialogo su quelli che volta a volta ci si venivano palesando come luoghi di tensione e conflitto, di fraintendimento e sovrainterpretazione, di ambivalenza di desideri e paure, di lotte di potere e strategie di manipolazione interne alla dialettica emotivo-affettiva, erotica ed intellettuale, che struttura le relazioni uomo-donna.
Proprio in forza della natura e della storia peculiare e, per entrambi, ancora aperta di questa avventura esplorativa, abbiamo pensato di iniziare ad esporre il nostro percorso evitando uno stile espositivo di carattere saggistico e concettualmente ‘paludato’, optando invece per l’avventura della scrittura. In ciò confortati dalle prime esperienze psicoterapiche del primissimo Freud : del ‘giovane’ Freud, ancora psichiatra e neurologo, che, ascoltando le pazienti ‘isteriche’ si accorge di come quell’ascolto lo obbligava ad abbandonare lo schematismo riduzionistico di una diagnosi medica per passare alla stesura di ‘something like a short novel’ [Cfr. Studi sull’Isteria, Boringhieri, 2010).
Del resto, in contesto diverso ma non epistemicamente molto differente, lo stesso Umberto Eco, nella sua affascinante autobiografia intellettuale, sottolineava, citando la sovracoperta della prima edizione del Nome della rosa: “Se l’autore ha scritto un romanzo è perché ha scoperto nella sua maturità, che ciò di cui non si può teorizzare, si deve narrare”, parafrasando così Wittgenstein: “Di ciò di cui non si può parlare, si deve narrare”. [Cfr. La filosofia di Umberto Eco, La Nave di Teseo 2021]
Quello che qui presentiamo è quindi il racconto che la dott.ssa Marisa Faioni ha scritto aprendosi al piacere e al rischio del declinarsi in una ‘immaginifica’ (ma niente affatto immaginaria) narrazione ove una donna si dice e ci dice molto su temi e problematiche che lasciamo al lettore scoprire. E che, in buona misura, anticipano alcune delle tappe più significative del nostro percorso… in itinere.
Per ora, buona lettura.
ECCOLI DI NUOVO.
Eccoli di nuovo. Puntuali, come tutte le maledette notti. Come faranno domani mattina quando suonerà la sveglia, come faranno a lavorare? Io, distrutta dalla insonnia per colpa dei loro amplessi selvaggi e loro, loro freschi come trentenni dopo una notte d’amore e il pieno di endorfine. Ma se non li ho mai visti in faccia, cosa ne so di che età hanno? Del resto, è ovvio: esco di casa presto, torno tardi e non prendo mai l’ascensore. Al massimo, buongiorno e buonasera nell’atrio. Non so associare i visi dei condomini con il piano in cui vivono e nemmeno con i cognomi che guardo sul citofono mentre infilo le chiavi nel portone. Il mio, di cognome, è proprio lì al centro del quadrante, solitario, fra altri che vanno di due in due. È un palazzo di famiglie giovani, questo. Un continuo ricambio, le famiglie si ingrandiscono e se ne vanno. Io sono approdata qui, sola, non più giovane, non più al centro della vita di nessuno. So che questa sarà la mia ultima dimora. Ho finito con i traslochi, le convivenze a mezzo, un po’ qui, un po’ là, il raccattare vestiti e libri dalla casa di lui o vederlo fare le valigie prima di andarsene per sempre. Mi piaceva ascoltare il vociare di tutti quei bambini scorrazzanti nel giardino della materna in faccia alla finestra della sala, quella mattina di maggio assolata in cui sono venuta a vedere la casa. Ho firmato subito il contratto di affitto: un colpo di fulmine - uno dei tanti! Sarei stata bene in mezzo a tanta vitalità. Non mi danno fastidio i suoni degli umani, mi fanno compagnia. Però i vicini di sopra, questi che agitano i loro corpi sopra di me… un insopportabile fastidio. Sento persino cigolare il letto e il ritmo crescente dei loro lombi. Sono inquilini nuovi. Magari non è neanche una coppia fissa, magari lui se ne porta a casa una diversa per notte. Che pregiudizio! Magari è lei che se ne porta a casa uno diverso per notte. Come se io non avessi avuto le mie avventure. Stanno ridendo … Ridono spesso. Sembrano affiatati. Non è che puoi ridere con chiunque. Anche per ridere bisogna essere intimi, soprattutto se lo fai con una certa frequenza. Certamente saranno all’inizio della loro relazione: scopano e ridono, quanto ridono! A volte lei prorompe in un trillo mentre salgono insieme le scale del palazzo a notte fonda prima di sbattere la loro porta di casa. La maleducazione degli innamorati: esistono solo loro al mondo. Che tenerezza però! Saranno novelli sposi? “Novelli sposi”, che espressione antiquata! E chi si sposa più oggi, fra i giovani poi? Sono senz’altro più numerosi i matrimoni in seconde o terze nozze di coppie di oltre mezza età, matrimoni liberi da necessità sociali, figli già grandi, autonomi, una promessa più solida d’amore che a trent’anni. Anche io avrei potuto risposarmi, ma… mah, è andata così. Troppo complesso stare bene con un uomo, troppo impegno tenere insieme le differenze, le abitudini diverse instaurate in tanti anni quando ci si conosce dopo una certa età e precedenti esperienze finite male, o comunque finite. Se mi sveglio di notte devo leggere per riaddormentarmi, a lui dà fastidio la luce; lui russa e io ho il sonno leggero; io amo la montagna e lui il mare… Ma no, non sono queste le vere difficoltà. La verità è che - niente da fare - mai conosciuto un uomo che non abbia manifestazioni francamente maschiliste, se non addirittura misogine, e alla mia età non mi interessa più cercare di farmi valere e capire: una partita persa in partenza. Non ci si può intendere fino in fondo fra uomini e donne. Siamo radicalmente differenti. Poi, ho bisogno delle mie libertà. Non può che finire male. Forse sono diventata troppo insofferente o forse non voglio più soffrire. Sono stanca di abbandoni, miei o suoi, pianti, angosce, solitudini da imparare di nuovo a gestire. È che ho già tanto di cui occuparmi, io, un lavoro, gli amici, le arrampicate la domenica… Però mi mancano gli abbracci e le carezze su tutta la pelle. Senza, mi sento a volte come se non avessi confini precisi, come se potessi diluirmi nell’universo... come fossi una goccia di pioggia che cadendo si disperde nel mare. Per questo mi piace il corpo a corpo con le rocce: mi accolgono con le loro increspature, mi respingono con le loro sporgenze, e sono fatte di un materiale altro. Come i maschi? E il sesso, quello mi manca? Ho finito col pensarci poco: è che meno lo faccio, meno ne ho voglia e viceversa. Gli uomini: mi è sempre sembrato più semplice per loro, almeno per quelli che ho incontrato. Finché la relazione funzionava, avrebbero potuto farlo in qualsiasi momento e condizione, anche con poco tempo davanti. Per me, invece, ogni volta bisognava ricostruire una certa confidenza per poter essere penetrata, tranne che all’inizio, quando anche io avrei potuto farlo sempre, o tranne che in momenti speciali carichi di erotismo. Ma allora quale era l’ingrediente speciale che mi rendeva disponibile, al di fuori dell’innamoramento, a mescolare il mio corpo cavo al loro estroflesso? Qualcosa di fisico e mentale insieme. Difficile scindere. Quando non ne avevo voglia, a volte la stessa idea del sesso mi dava fastidio, quasi repulsione, un po’ come sentire questi di sopra. Però ci rimanevo male, dubitavo di me: è normale? Non sarò per caso arida, inibita? Frigida? Ma no! Proprio no, il piacere lo conosco. Eccolo, il loro letto riprende a muoversi … con un movimento sussultorio diverso… deve essere la seconda volta questa notte. Lui sarà sopra o sotto? Secondo me sotto, perché il movimento sembra più lento, come cavalloni del mare, è lei che guida e segue le sue onde di piacere, più fonde e più lunghe, meno frenetiche. E geme forte. Farà finta? Le donne fanno ancora finta di godere? Anche quelle giovani? Quante volte l’ho fatto io, per lui, per me! Anche se mi piaceva, certamente non raggiungevo l’orgasmo ad ogni rapporto. E quante volte gli uomini con cui sono stata a letto hanno scambiato il mio piacere, i miei umori, per orgasmo. Sembrava brutto deluderli, quando ne erano convinti, a volte narcisisticamente orgogliosi delle loro performances. E lui – come si chiamerà? Giacomo, Luca, Paolo? - anche lui non saprà distinguere? Certo che se lei – Greta, Clara, Giulia? - non glielo dice quando non viene, non gli fa capire cosa desidera, lui - Giacomo, Luca, Paolo - non è che proprio può capirlo da solo. Per gli uomini è inequivocabile, per le donne è un mistero. Lo dicono sempre, gli uomini: le donne sono un mistero. Un mistero che incute un po’ di ansia e un po’ di fastidio, anche a quelli più sensibili, come magistralmente canta Gaber: ad un certo punto, anche a un uomo generoso viene voglia di infischiarsene per allontanare il senso di colpa o di inadeguatezza del lasciare la propria donna insoddisfatta. Come diceva Gaber in quella bellissima canzone? “Maledizione. Non c’è la prova! È per questo che uno sta lì nudo come un cretino a domandarsi com’è andata. E sarò stato bravo? E non sarò stato bravo, e l’egoismo e l’abbandono e il non abbandono, e il cervello ti tic e ti tic e ti tic, e il gesto stonato e la sintonia e i tempi diversi, e ti tic e ti tic e le sarà piaciuto e non le sarà piaciuto. Uffa, la partita doppia degli orgasmi!”. Ma anche io mi sentivo in difetto quando non riuscivo a raggiungere l’orgasmo: “devo essere io che non riesco ad abbandonarmi fino in fondo” - giudicavo. A volte, però, non era colpa mia, erano loro che non ci sapevano proprio fare. Colpa, colpa… Che parola divisiva, una lama che taglia in due. A volte – se ci penso – mi rendevo sessualmente disponibile pur di sentirmi desiderabile. A volte, sentire il desiderio di lui mi aiutava a legittimare il mio. A volte, non avevo il coraggio di prendere io l’iniziativa: per paura del rifiuto, per paura di essere considerata … sfacciata, fuori luogo? A volte, invece, mi sottraevo se sentivo troppa aspettativa, come se … non saprei esattamente … come se significasse perdere la mia autodeterminazione? La sensazione sembra più simile a quella di quando la mamma ci restava male se io da piccola non volevo i suoi baci umidi. La mamma… Pisellino, pistolino, birillo … quanti nomignoli affettuosi per il sesso di mio fratello. Il mio… innominato. Già i maschi hanno il sesso tutto di fuori, lo conoscono a menadito fin da bambini, il loro giocattolo che cambia sorprendentemente forma e grandezza in coincidenza con certe sensazioni…. noi, noi donne ce l’abbiamo più… più intimo, così intimo da non conoscerlo nemmeno noi troppo bene, neanche nella forma. Cos’è che provoca esattamente quelle sensazioni di piacere? Clitoride, vulva, vagina, punto G? Nemmeno i cosiddetti scienziati ci hanno mai capito qualcosa di definitivo. Ho conquistato la confidenza con la mia rosellina da grande, molto grande. Inutile negarlo. Rosellina… ho dovuto cercarlo io questo nome, prendendolo a prestito dai racconti popolani della nonna milanese di Lucia, la mia amica delle medie. Però, non è che proprio mi venga spontaneo chiamarla così. C’è sempre come un certo senso di artificiosità. Forse sono stata troppo timida nel mostrare cosa piaceva alla mia rosellina in tutti gli anni del mio matrimonio: mi imbarazzava, e quando lui credeva che fossi pienamente soddisfatta ci sarebbe rimasto male a contraddirlo. Era così che si finiva con il costruire la trama delle falsità e poi ci sarebbe voluto troppo coraggio a smontarla. Ma se avessi parlato fin da subito, come avrebbe reagito? Magari ci saremmo inibiti di più. O magari avrebbe finito anche lui con il pensare con fastidio Uffa, come Gaber, ogni volta che avessimo fatto l’amore e non avesse avuto la certezza di avermi fatto venire. La doppia partita degli orgasmi. Non può essere tutto misurato come un bilancio che deve sistematicamente pareggiarsi. E, in fin dei conti, non era sempre così importante essere venuta. Eppure, spesso, ho provato rancore per l’ingiusta sorte biologica e pensato che non siamo fatti per capirci, donne e uomini, nemmeno nel sesso. Che agli uomini l’evoluzione ha dato il potere di godere grazie alle donne – a meno che queste non si sottraggano deliberatamente - e non viceversa: una donna non può imporsi in alcun modo se l’uomo con cui fa l’amore o fa sesso, per qualsiasi motivo, perde il desiderio. E questo attribuisce agli uomini un maggiore potere: sanno a priori che in linea di massima i loro desideri saranno soddisfatti. Principini anche in questo. “Sei la mia bella porca”. Queste pareti sono di cartapesta o loro urlano. Domani protesto con l’amministratore. Ma che gli dico: “quello di sopra – Giacomo, Luca, Paolo – dà della bella porca alla sua Greta, Clara, Giulia alle due di notte”? Ma lei cosa prova a sentirsi dare della porca? Ride di nuovo gorgheggiando. Questa poi, è peggio di un porno! Perché mai una donna che gode dovrebbe essere una porca? E perché lei ride? E lui pure e ora il letto cigola più forte. Le dice che è una porca, ma bella. Certo un linguaggio grezzo, ma vuoi vedere che è contento che lei provi piacere attraverso di lui? Forse è questo che esprime il porno, il desiderio di un uomo che anche la donna goda davvero senza riserve, che lei gli sia accessibile davvero fin nel recondito della sua carne senza menzogne, che la biologia diventi paritetica. E se così potesse divenire, allora non sarebbe più necessario prendere in prestito i maiali che godono grufolando nello sporco. Ma, al di là della biologia, il sesso e l’eccitazione con la loro carica eversiva potranno mai essere liberi? Il potere costituito non avrà sempre bisogno di imbrigliarli?... Ora sembra lui ad essere venuto. E lei? Lo starà abbracciando, si staranno coricando sul lato. Lui starà ansimando, il cuore a mille. Quello di lei pompa regolare. Come si starà sentendo? Magari è arrivata al plateau del piacere e non sarebbe comunque potuta arrivare all’orgasmo, non in questo rapporto, forse in uno successivo. O magari è rimasta lì, appesa alla sua crescente eccitazione da dover spegnere come un incendio. Starà dissimulando la frustrazione o gliela farà sentire con un silenzio malmostoso? Il silenzio delle donne. “Ci vuole troppa comprensione, per trasformare in dolcezza una cosa venuta male.” – sempre il grande Gaber. Silenzio. Non sento più nessun rumore… Lui si starà addormentando. “Leccami” – prorompe lei. Che coraggio! Deve essere una tipa sensuale. Sensuale, non sexy, come dicono gli uomini. La sensualità – ecco! - è tutta nella consapevolezza del proprio corpo, bello o brutto che sia, del proprio desiderio e del proprio piacere, al di là dello sguardo maschile. “Ti lecco tutta, mia regina”. Lei si può fidare di lui, lui può ancora provare piacere nel piacere di lei. Sembra un circolo virtuoso. L’avessi potuto scoprire io! Vorrei proprio vederli in faccia questi due extraterrestri.
*****
Una settimana dopo, nell’atrio, un panchetto coperto di panno nero e un libro aperto per testimoniare le condoglianze da parte dei condomini.
“Ma chi è morto, signor Ronie?”
“Non lo ha saputo dottoressa? L’inquilina che vive proprio sopra di lei. Pensi, solo sessantaquattro anni. Morta per un aneurisma, all’improvviso. E lui, il marito, è distrutto. Si erano sposati da poco. Che storia triste!”
APPROSSIMAZIONI PSICOANALITICHE SU INCONSCIO CULTURALE E DIFFERENZA DI GENERE.
Ciascuno di noi vive in un contesto culturale nel quale sono depositati, in forza del linguaggio verbale ed iconico che lo struttura e veicola, i codici fondamentali di valore, giudizio, orientamento attraverso i quali impariamo precocemente a pensarci, a sentirci e a vederci come bambine e bambini, ragazze e ragazzi, donne e uomini. In questo modo costruendo una identità personologica in larga misura inibente la nostra peculiare esperienza esistenziale; il nostro particolare modo di sentirci. In breve, costruendo stili relazionali, strutture di desiderio, schemi e modalità affettive, fantasie erotiche, aspettative di ‘felicità’ profondamente illusorie, sostanzialmente mistificate e mistificanti e soprattutto espressive delle relazioni di potere di cui il contesto culturale è in larga misura espressione e garanzia.
In quanto psicoanalisti impegnati nella comprensione delle forme di disagio, dolore, fraintendimento – nonché di prevaricazione anche violenta – che ancora connotano le relazioni tra i sessi – abbiamo ritenuto opportuno testimoniare questo nostro impegno che ci coinvolge, e niente affatto secondariamente come donna e uomo, attraverso questa rubrica. Ove tenteremo di evidenziare come quel potente ‘inconscio collettivo’ che è il sistema della cultura (nelle sue declinazioni alte e basse: dall’accademia universitaria al mondo massmediale; dalle istituzioni e agenzie formative fino alla famiglia ecc.) permei profondamente la tessitura emozionale, affettiva ed erotica dei nostri vissuti più intimi e apparentemente ‘genuini’, mettendo capo ad auto-inganni e fraintendimenti sia nei processi di autocomprensione delle nostre peculiarità ‘maschili e femminili’, sia di comunicazione e relazione con ‘l’altro sesso’.
A questo scopo, faremo riferimento da un lato alle risultanze delle nostre esperienze cliniche, e in primo luogo a quelle concernenti la costruzione dell’immaginario maschile e femminile che alberga nell’animo dei nostre/i pazienti; dall’altro all’analisi delle immagini e delle fantasie di genere che strutturano l’immaginario erotico in aderenza ai codici culturali dominanti. Dall’altro ancora, metteremo in risalto convergenze e divergenze nel nostro stesso modo di produrre un discorso coerente su questi temi. Questo nella convinzione – che cercheremo di dimostrare – che solo un approccio corale, e quindi inclusivo delle specificità esistenziali, culturali e psicologiche degli uomini e delle donne , e quindi di psicoanalisti donne e uomini, può mettere capo ad approssimazioni cliniche e concettuali abbastanza sensate e tali da riconoscere le differenze senza trasformarle in diversità oppositive. Così da farne occasione di reale crescita umana e culturale, ove non si tenta alcuna sintesi se questa non è praticabile e non per questo il dialogo, l’intesa empatica e persino amorosa debbano cessare.
Dott. Ivano Lanzini
Rieccoci, in altra modalità.
Pensieri in forma dispersa, per discorsi intrecciati.
Quanto segue non è, ovviamente, una risposta-commento al racconto che la dottoressa Faioni ci ha regalato nel precedente numero di suiGeneris.
Fedele all’impostazione della Sezione SGUARDI, e, in particolare, alla sua natura sì dialogica ma non pacificante, non ‘politicamente corretta, e, al tempo stesso tutta ‘giocata’ sulla scommessa di una possibile composizione di…. scomposizioni di genere, ho deciso di espormi a considerazioni ‘a latere’. A margine. Scegliendo temi di dettaglio. Evitando di toccare temi e problemi troppo densi – e il racconto della dott.ssa Faioni ne evidenzia molti, sia pure in controluce e con la capacità allusiva tipica del narrare… della forma letteraria del racconto….
Li esporrò con sequenza numerale e però secondo una logica ericksoniana[1]: quella degli interspersal thoughts. Che non mi obbliga alla coerenza deduttiva, consentendo l’erraticità del pensiero. E, al lettore, forse, il piacere della lettura.
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E’ forse un retaggio della cultura patriarcale – ove il maschile-paterno-padronale è la voce altisonante e unica dei codici linguistici fondamentali – quello di guardare con sospetto e timore (e quindi con severità moralistica) il desiderio femminile. Desiderio: termine più ampio di ‘appetito/pulsione sessuale’. Perché implica la naturalezza e quindi il non bisogno di legittimazione dell’aspirare ad ottenere ciò che si desidera. Ove il ‘ciò’ è di certo il piacere sessuale interno al rapporto/relazione sessuale. Ma va oltre: perché fa del soggetto desiderante il titolare del desiderio: così costituendolo nella pienezza di Soggetto.
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E’ forse il retaggio di una deriva del femminismo[2] quella di non prendere consapevolezza di come la legittimazione di tale desiderio non solo sia patrimonio di ampi spezzoni della cultura contemporanea (che pure è ancora intrisa di strutture e codici maschiocentrici); ma sia anche reale espressione di vissuti e comportamenti maschili. Sia cioè acquisizione di un nuovo sentire amoroso dell’uomo verso la donna. Di uomini concreti verso donne concrete[3].
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Dato più rilevante, a mio modo di vedere – come clinico e psicoanalista – è che tale legittimazione nulla ha a che vedere col il permessivismo manipolatorio, consumistico, anti-femminile (ma oggi, in parte crescente, anche anti-maschile) della cultura massmediale e di parte della cultura accademica. O della cultura ‘alta’o supposta tale.[4] Avendo a che vedere con la realtà di nuovi modi di sentire e di desiderare la donna.
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“Desiderare la donna”: in questa semplice ma non banale espressione ‘si gioca’ non poca parte della attuale complessità dei rapporti tra i sessi (e i generi)[5], degli equivoci e dei fraintendimenti. Che si fanno in-solubili se e fino a quando non ‘si’ co-costruisce un ‘terzo’ che ci parla, che ci vede, ci sente. Un terzo, ripeto, co-costruito per differenza e conflitto. Costruito e costituito sullo scambio dialettico di insulti e difese, di attacchi e ritirate. Perché – dobbiamo prenderne atto – ‘non c’è pace tra gli ulivi’. Non è ancora possibile un vero dialogo in quanto squilibrato è ancora il rapporto di potere. Per questo ho voluto provocatoriamente e sfacciatamente scegliere questa espressione: ‘ desiderare la donna’[6], nella quale la donna è ancora posta come oggetto del desiderio: quindi come parte interna allo sguardo maschile. E questo, anche se, come clinico, devo rilevare il progressivo declino e contrazione dell’ampiezza di questo sguardo. Di contro – almeno per i ‘miei’ uomini in analisi – al progressivo aprirsi ad una relazionalità che fa del loro (permanente) oggetto-del-desiderio[7] un soggetto interlocutorio, interloquente, infine ‘ascoltato’ e accolto nella sua straniante differenza.
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Differenza: ben altro che diversità. Anche in questo semplice asserto è possibile trovare una possibile via di comunicazione tra …. differenti. Per usare un gioco di parole: è come se iniziassimo ad uscire da un mondo ove la donna è stata assunta[8] come ‘diversamente uomo’. Come variabile dipendente. Verso, stentatamente, verso un mondo ove i ‘sessi’/generi si ri-conoscono differenti. Proprio secondo uno dei più intriganti significati etimologici dei termini. Ove il dif-ferente è colui/colei che è posto più in là. Che è portato o spostato o riconosciuto ‘in là’. Dove io non sono. Mentre il di-verso è colui/colei che si volge in direzione opposta. Che di-verge.[9] Che mi si oppone nella sua estraneità. Una sorta di ‘inversione ad U’ rispetto alla ‘giusta’ direzione di marcia…. Associo qui il ricordo del lamento doloroso e disperso di un giovane omosessuale che, dichiarandosi tale alla madre, si sentì rispondere “avresti dovuto essere diverso: darmi dei nipotini….”.
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Certo, la differenza è sempre dif-ferenza. E non è pensabile che tra uomini e donne questa sia colmabile. Un simile pensiero – che occupa perversamente, a mio avviso, settori[marginali?] del ‘movimento femminile/femminista, -[10] implicherebbe un ‘errore bio-genetico’. A meno di sostenere che le f(r)atture del corpo siano inafferenti alle f(r)atture dell’anima. A meno di pensare che un pene e una vulva siano inafferenti alla ‘semplice’ ‘consumazione’ dell’esperienza del rapporto sessuale e relativa possibilità di piacere/orgasmatico. A meno che la differenza venga configurata come una espressione [11] di un errore o – come si dice oggi in una cultura iperralitivistica e quindi opinabile[12] – un dato di pura natura culturale[13].
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Ma torniamo a noi. Introducendo una sospensione, un détour provocatorio[14]: ma davvero Adamo ha espresso SOLO dominio e potere quando, vedendo il CORPO di Eva, è esploso in quel grido estatico : ‘questa è carne della mia carne’. Davvero possiamo liquidare questo capitolo – indubbiamente vincolata a QUELLA cultura[15]- come puro maschilismo? Davvero non è percepibile non solo e tanto il desiderio carnale, ma il riconoscimento affascinato e stupito di una IDENTITA’ DIFFERENTE? Davvero l’attuale dibattito sull’identità di genere può farsi così assordante e ideologico da occultare o sminuire la realtà della differenza sessuata? Di liquidare – perché questo in parte sta avvenendo – come puro ‘codice binario’ la fenomenologia eterosessuale e quindi la dinamica e il relativo ‘mistero’ o enigma dell’attrazione dei/tra i sessi?[16]
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Siamo troppo ‘vaccinati’ dall’esperienza dei nostri pazienti e dalla realtà del mondo che ci circonda (si pensi solo all’Afgahnistan!) per cadere nella illusione di una banale pacificazione tra i sessi/generi. E siamo altresì consapevoli della complessità dei processi di costruzione dei ‘generi’, del loro carattere molecolarmente plurale. Ma questo non inficia una ragionevole speranza[17] che i nostri figli o nipoti possano differenziarsi…. Diversamente.
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Prima di portare a termine questi ‘pensieri dispersi’, non mi è possibile concludere che con uno meno disperso degli altri, perché, a mio parere, attinente ad un aspetto cruciale delle dinamiche tra i sessi nella loro strutturale differenza. Mi riferisco alla fenomenologia della relazionalità. Del modo di intendere forme, tempi e significato della costruzione di una relazione amorosa. Tanto nei suoi aspetti prettamente affettivi quanto specificatamente sessuali ed erotici. Vi è qui la manifestazione – almeno alla luce di non poche evidenze psicoanalitiche, in psicoanalisi[18] - di differenza profonde, attinenti ai tempi della suddetta costruzione: tempi che si fanno spesso contrattempi, passi sbagliati o fuori tempo di danza; attinenti ai materiali di costruzione, e alla loro collocazione entro le mura-progetto della relazione; attinenti al modo in cui un incontro si trasforma in un approccio – che può essere molesto o di avvicinamento; di un approccio che si fa prima intesa o malinteso; ad un contatto che si fa avance o reciproca accoglienza; ad un bacio che distanzia o che è già co-penetrazione erotica; ad un ‘fare l’amore’ che è un comune com-prendersi o con-fondersi nella più totale solitudine.
Ecco, a questa fenomenologia, occorrerebbe prestare attenzione e coglierla nella complessità delle sue dimensioni biologiche, psicologiche-intrapsichiche e socio-culturali. Per poi (o prima?) ricollocare il tutto nella prospettiva problematica concernente l’impressionante fenomenologia del potere: del ‘ comanda’; del chi definisce, del chi ricatta, del chi sfrutta, del chi detta ‘legge’. Una fenomenologia che nella dialettica della differenza tra i sessi/generi trova un campo vistoso di manifestazione. Ma che, penso, appartenga alla . A qualcosa che in modo improprio ma metaforicamente efficace, possiamo ancora chiamare ‘natura dell’uomo’: dell’essere umano in quanto ente strutturalmente scomposto, intimamente conflittuale, ambivalente anche se, al tempo stesso, capace di discorso, di dialogo, di confronto.
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Lasciamo le pazienti lettrici e lettori con la consapevolezza che quanto sin qui artigianalmente esposto nella forma seria[20] del bricolage pone più interrogativi e problemi di quanti ne risolva. Questo era in effetti il nostro intento.
Grazie dell’ascolto.
[1] Milton H. Erickson, uno dei più importanti psicoterapeuti ipnotisti nonché geniale maestro della comunicazione, amava utilizzare, con non pochi suoi pazienti un po’ ossessivi e rigidi cognitivamente, modalità comunicative creative atte a stimolare idee e associazioni libere e liberanti proprio perché fuori da nessi deduttivi, geometrici, come avviene spesso nella saggistica.
[2] si abbia la bontà di permettere un uso ampio del termine. Giacché l’intera cultura del femminismo non lo contiene!
[3] Ancora una volta, devo chiedere alla lettrice/lettore la pazienza di tollerare l’indeterminatezza di alcuni termini – che, se specificati, ora, potrebbero compromettere nuovi sviluppi dialogici. E nuove, feconde, contrapposizioni di genere.
[4] Giovanni Gervis più volte ha sottolineato come la cultura del ceto intellettuale italiano sia in realtà una cultura medio-alta. Ove il ‘medio’ allude anche al mass-mediale. Cfr. Contro il relativismo, Laterza, 2006
[5] Lasciamo volutamente in sospeso, qui e per ora, l’analisi della distinzione onto-fenomenologica dei termini.
[6] Che fa volutamente eco al freudiano “Cosa vuole la donna”.
[7] Che Bunuel giustamente definisce ‘oscuro’.
[8] La scelta del verbo, con le sue allusioni religiose, è voluta!
[9] Del resto, ‘diverso’ è stato lo storico appellativo dell’omosessuale.
[10] Mi permetto il lusso di non aggiornarmi nel merito….rinviando ad alcuni scritti della Buttler.
[11] Biologica? Evoluzionistica? ‘divina?
[12] Occorre ricordare Platone per … ricordare che se tutto è opinabile sarà sempre l’opinione del più forte, ricco, potente: oggi diremo ‘famoso’ a vincere?
[13] Come se la cultura cadesse dal cielo sulla terra! Si noti il possibile, involontario ossimoro: ‘ natura culturale’!
[14] E rammentando, a quanti considerano la cultura classica un errore borghese di cui vergognarsi, come ci dovremmo scusare dell’impresa di Colombo!
[15] Che solo un superficiale potrebbe giudicare più arretrata rispetto a quella greca o romana, ove la condizione della donna era decisamente peggiore, moralmente, giuridicamente e socialmente?
[16] Ci pare pleonastico – nel contesto di questa nostra rivista – evidenziare come questo interrogativo in nulla contraddica la piena ‘legittimità, culturale e scientifica, di ’ una ri-composizione della fenomenologia transessuale (e non puramente eterosessuale) entro l’ampia fenomenologia della costruzione delle identità sessuali. Con i suoi percorsi complessi, ove biologia e cultura si intrecciano in modi, tempi e forme che ancora abbisognano un approfondimento di conoscenza e di affetto (senza il quale, forse, non può darsi effettiva conoscenza)!.
[17] Che la stessa troppo incompresa tradizione cristiana collega al coraggio e alla determinazione.
[18] Non mi è possibile qui spiegare la differenza tra queste due sfumature…
[19] E ben sappiamo, dopo Nietzche e Foucault che il ‘chi’ è diffuso, sistemico,r elativamente a-personale e cangiante.
[20] Forma seria quella del bricolage perché esprime il ‘coraggio’ dell’esporre i propri gusti, l’osare al di là della professionalità. Il coraggio della fantasia e dell’immaginazione, al punto che Claude Levi-Strauss parlava del bricolage come di una sorta di ‘riflesso sul piano dell’attività pratica della stessa attività mitopoietica”! A noi viene da aggiungere anche dell’attività aforistica.