Nicoletta Buonapace
poeta
Scritti di versi
Una stanchezza di giorni
In questo tempo uno dei sentimenti dominanti, insieme allo smarrimento, è stato la tristezza. Intensamente presente, ci ha costretto, nei lutti della pandemia, a intrattenere un rapporto intimo con la morte. Il silenzio, l’isolamento nelle case, l’assenza di quel conforto che viene dal dare conforto, dal condividere il dolore, ci ha messo di fronte alla nudità del morire, spogliata appunto da quei riti che ce la rendono sopportabile, a subirne la brutalità.
Con questa tristezza, quasi a salvezza, ho lasciato che i versi più amati risuonassero in me:
Aprile è il più crudele dei mesi, genera
Lillà da terra morta, confondendo
Memoria e desiderio, risvegliando
Le radici sopite con la pioggia della primavera.
E’ La Terra desolata di T.S. Eliot nel primo movimento intitolato “La sepoltura dei morti”.
E crudele è stata la primavera, nel quale ogni fulgore e nascita primaverile, non riusciva a scongiurare, allora come oggi, l’incapacità umana di preservare e sostenere la bellezza del mondo. Eliot guardava di quella rovina che fu la carneficina di un’intera generazione di giovani, la prima guerra mondiale. A noi è mancata d’improvviso un’altra generazione, più anziana, che non ha potuto ricevere il compianto, il segno che si è data la civiltà dell’umano. Così Jacopone da Todi
«O figlio, figlio, figlio,
figlio, amoroso giglio!
Figlio, chi dà consiglio
al cor me’ angustïato?
Figlio occhi iocundi,
figlio, co’ non respundi?
Figlio, perché t’ascundi
al petto o’ si lattato?».
Riecheggiano a lungo queste parole, poesia che sgorga quando si confronta con qualcosa che tutta l’umanità conosce, voce intima, nascosta dentro di noi e nello stesso tempo voce di tutta l’umanità. Una parola poetica quando ci sono stati sottratti i riti della sepoltura, della preghiera, parola del ricordo e dell'amore e del pensiero che sono preghiera laica. Su questi frammenti, come il poeta, puntello le rovine, ora che tutta la terra è in lutto, che tutte le immagini sembrano essere state frante... Ma la morte libera l'amore, come scriveva Audrey Anderson per poter sentirsi tristi senza essere tristi.
E da me, qui e ora, alcuni versi che dedico alla memoria di mio padre
Una stanchezza di giorni
il chiaro di un ricordo
lontananze stemperate
dall’esercizio della speranza
Camminavi controvento
la testa bassa pensierosa
i tuoi passi accanto ai miei
bastava questo per essere
I viali scuri d’alberi
al margine dell’inverno
mi accompagnano ancora
verso il mare
(cosa diresti ora
di questo silenzio
l’ombra
la mancanza)
Una linea rossa
appare all’orizzonte
sul blu petrolio
della notte nascente
Un sapore salmastro
la frusta dell’acqua sulla faccia
e a ondate fin sulla strada
un’ebbrezza di resistenza
C’è una bellezza disarmata
nel disegno delle gru
sul profilo del porto
giganti di ferro
dalle dita delicate
a sfiorare le nuvole
e la Vegliaia
sentinella
a guardarci dalle tempeste
Il ritorno lungo il Fosso
così placido
penetra piano
il vecchio cuore della città
una collana di luci
dorata tra le barche
sull’acqua calma
segna la solitudine
così nuova così sempre giovane.
Nicoletta Buonapace
Nicoletta Buonapace
poeta
Scritti di versi
Maschile/femminile, paradigmi tra biologia e cultura
Tradotti in molteplici figure, simboli, storie che costituiscono narrazioni soggette a costruzioni e decostruzioni; declinazioni del "genere" (la cui binarietà è messa oggi in discussione) da esplorare e che entra in gioco nell’incontro con l'altro. Difficile parlare di "uomo" e "donna" da un punto di vista essenzialista, biologico, dal momento che ciascuno è storia, tessitura di relazioni, portatore di interpretazioni del mondo apprese grazie al linguaggio e grazie ad esso messe in discussione. Viviamo nell'oggi identità complesse, che non si riconoscono più all’interno di un pensiero a lungo dominante, costruito su stereotipi per rendere semplici soggettività in cui i vissuti, i modi d'essere, le varianti e i posizionamente sono molteplici e articolati. Anche la poesia si è confrontata con questi temi a partire dai miti, a volte classici a volte privati. Temi che anche la scrittura poetica, con esiti diversi, interroga talvolta scardinando, talvolta riconfermando un immaginario profondamente interiorizzato.
Monologo per Cassandra
Sono io, Cassandra.
E questa è la mia città sotto le ceneri.
E questi i miei nastri e la verga di profeta.
E questa è la mia testa piena di dubbi.
E' vero sto trionfando.
I miei giusti presagi hanno acceso il cielo.
Solamente i profeti inascoltati
godono di simili viste.
Solo quelli partiti con il piede sbagliato,
e tutto poté compiersi tanto in fretta
come se non fossero mai esistiti.
Ora lo rammento con chiarezza :
la gente al vedermi si fermava a metà.
Le risate morivano.
Le mani si scioglievano.
I bambini correvano dalle madri.
Non conoscevo neppure i loro effimeri nomi.
E quella canzoncina sulla foglia verde -
nessuno la finiva in mia presenza.
Li amavo.
Ma amavo dall'alto.
Da sopra la vita.
Dal futuro. Dove è sempre vuoto
e nulla è più facile che vedere la morte.
Mi dispiace che la mia voce fosse dura.
Guardatevi dall'alto delle stelle – gridavo -
guardatevi dall'alto delle stelle.
Sentivano e abbassavano gli occhi.
Vivevano nella vita.
Permeati da un grande vento.
Con sorti già decise.
Fin dalla nascita in corpi da commiato.
Ma c'era in loro un'umida speranza,
una fiammella nutrita dal proprio luccichio.
Loro sapevano cos'è davvero un istante,
oh, almeno uno, uno qualunque
prima di-
E' andata come dicevo io.
Solo che non ne viene nulla.
E questa è la mia veste bruciacchiata.
E questa è il mio ciarpame di profeta.
E questo è il mio viso stravolto.
Un viso che non sapeva di poter esser bello.
Wistawa Szymborska
Il settimo senso
Donne
che costruiscono nazioni
imparano
ad amare
uomini
che costruiscono nazioni
imparano
ad amare
bambini
costruttori di castelli di sabbia
vicino al mare che sale.
Audre Lorde
Volpe
Avevo bisogno forte di volpe bisogno forte
di pelo, da molte tempo nessuna mi avvicinava
Avevo bisogno di riconoscimento
da un volto triangolato occhi gialli di stoppia
che fronteggiano un corpo lungo, la fiera coda sacrificale
Avevo bisogno di storia di rovi leggenda di volpe che corre tra i rovi
Volevo volpe
E la verità dei rovi che aveva dovuto attraversare
Avevo voglia di sentire se le mani scorrevano sulla pelliccia
o se il suo
coprpo poteva discorrere attraverso le mani irte verità che
stressano la superficie del pelo
pelle strappata che accusa la leggenda
coraggio di volpe in parole di volpe
Per un animale umano la richiesta d'aiuto
di un altro animale
è il grido più straziante e rivoltoso della terra
è una discesa ripida
Tornare indietro vale lacerarsi e lacerare senza fine
e da subito
tanto indietro, scappa dalla bocca
nel grido neonato del non ancora nato
il non ancora donna partorito da una femmina
Adrienne Rich
Mania di solitudine
Mangio un poco di cena alla chiara finestra.
Nella stanza è gioa buio e si vede nel cielo.
A uscir fuori, le vie tranquille conducono
dopo un poco, in aperta campagna.
Mangio e guardo nel cielo - chi sa quante donne
stan mangiando a quest'ora - il mio corpo è tranquillo;
il lavoro stordisce il mio corpo e ogni donna.
Fuori, dopo la cena, verranno le stelle a toccare
sulla larga pianura la terra. Le stelle son vive,
ma non valgono queste ciliegie, che mangio da solo.
Vedo il cielo, ma so che tra i tetti di ruggine
qualche lume già brilla e che, sotto, si fanno rumori.
Un gran sorso e il mio corpo assapora la vita
delle piante e dei fiumi, e si sente staccato da tutto.
Basta un po' di silenzio e ogni cosa si ferma
nel suo luogo reale, così comìè fermo il mio corpo.
Ogni cosa è isolata davanti ai miei sensi,
che l'accettano senza scomporsi:un brusio di silenzio.
Ogni cosa nel buio la posso sapere
come so che il mio sangue trascorre le vene.
La pianura è un gran scorrere d'acque tra l'erbe,
una cena di tutte le cose. Ascolto i miei cibi nutrirmi le vene
di ogni cosa su questa pianura.
Non importa la notte. Il quadrato di cielo
mi sussurra di tutti i fragori, e una stella minuta
si dibatte nel vuto, lontana dai cibi,
dalle case, diversa. Non basta a se stessa,
e ha bisogno di troppe compagne. Qui, al buio, da solo,
il mio corpo è tranquillo e si sente padrone.
Cesare Pavese
Dorme il mio amico
Dorme il mio dolce amico sotto la tenda.
Ed io veglio perché lui dorma.
Quando son solo è che aspetto il mio amico.
Da lui non vado che la sera.
È questa l’ora di tutti i fuochi del Mezzogiorno;
La terra tutta discolora di sete, d’attesa e di paura;
L’ora in cui la volgarità degli impavidi vacilla,
In cui il pensiero dei saggi si confonde, —
In cui la virtù dei puri si corrompe, —
Tanto la sete è desiderio d’amore
E l’amore è sete di toccare, —
In cui tutto ciò che non è di fuoco
In questa vampa perde il suo colore.
C’è chi, a sera, sfinito da un caldo così grande, non ha più trovato il suo coraggio;
C’è chi, attraverso il deserto, ha cercato, tutta la notte, vanamente appresso al suo pensiero smarrito;
Grazie al mio amico
Senza paura attendo la dolce notte.
Quando è sera, il mio amico si sveglia;
Vado da lui, e lungamente ci consoliamo.
Accompagna i miei occhi nel giardino delle stelle.
Gli parlo dei grandi alberi del Nord
E delle fredde vasche in cui la luna,
Pastore celeste, come un amante, si bagna;
Lui mi spiega che solo le fuggevoli cose
Hanno inventato le nude parole
Mentre quelle che non devono perire
Tacciono sempre, avendo tutto il tempo di parlare —
E che la loro eternità le narra.
André Gide
Nicoletta Buonapace
poeta
Scritti di versi
Maschile/femminile, paradigmi tra biologia e cultura
Tradotti in molteplici figure, simboli, storie che costituiscono narrazioni soggette a costruzioni e decostruzioni; declinazioni del "genere" (la cui binarietà è messa oggi in discussione) da esplorare e che entra in gioco nell’incontro con l'altro. Difficile parlare di "uomo" e "donna" da un punto di vista essenzialista, biologico, dal momento che ciascuno è storia, tessitura di relazioni, portatore di interpretazioni del mondo apprese grazie al linguaggio e grazie ad esso messe in discussione. Viviamo nell'oggi identità complesse, che non si riconoscono più all’interno di un pensiero a lungo dominante, costruito su stereotipi per rendere semplici soggettività in cui i vissuti, i modi d'essere, le varianti e i posizionamente sono molteplici e articolati. Anche la poesia si è confrontata con questi temi a partire dai miti, a volte classici a volte privati. Temi che anche la scrittura poetica, con esiti diversi, interroga talvolta scardinando, talvolta riconfermando un immaginario profondamente interiorizzato.
Monologo per Cassandra
Sono io, Cassandra.
E questa è la mia città sotto le ceneri.
E questi i miei nastri e la verga di profeta.
E questa è la mia testa piena di dubbi.
E' vero sto trionfando.
I miei giusti presagi hanno acceso il cielo.
Solamente i profeti inascoltati
godono di simili viste.
Solo quelli partiti con il piede sbagliato,
e tutto poté compiersi tanto in fretta
come se non fossero mai esistiti.
Ora lo rammento con chiarezza :
la gente al vedermi si fermava a metà.
Le risate morivano.
Le mani si scioglievano.
I bambini correvano dalle madri.
Non conoscevo neppure i loro effimeri nomi.
E quella canzoncina sulla foglia verde -
nessuno la finiva in mia presenza.
Li amavo.
Ma amavo dall'alto.
Da sopra la vita.
Dal futuro. Dove è sempre vuoto
e nulla è più facile che vedere la morte.
Mi dispiace che la mia voce fosse dura.
Guardatevi dall'alto delle stelle – gridavo -
guardatevi dall'alto delle stelle.
Sentivano e abbassavano gli occhi.
Vivevano nella vita.
Permeati da un grande vento.
Con sorti già decise.
Fin dalla nascita in corpi da commiato.
Ma c'era in loro un'umida speranza,
una fiammella nutrita dal proprio luccichio.
Loro sapevano cos'è davvero un istante,
oh, almeno uno, uno qualunque
prima di-
E' andata come dicevo io.
Solo che non ne viene nulla.
E questa è la mia veste bruciacchiata.
E questa è il mio ciarpame di profeta.
E questo è il mio viso stravolto.
Un viso che non sapeva di poter esser bello.
Wistawa Szymborska
Il settimo senso
Donne
che costruiscono nazioni
imparano
ad amare
uomini
che costruiscono nazioni
imparano
ad amare
bambini
costruttori di castelli di sabbia
vicino al mare che sale.
Audre Lorde
Volpe
Avevo bisogno forte di volpe bisogno forte
di pelo, da molte tempo nessuna mi avvicinava
Avevo bisogno di riconoscimento
da un volto triangolato occhi gialli di stoppia
che fronteggiano un corpo lungo, la fiera coda sacrificale
Avevo bisogno di storia di rovi leggenda di volpe che corre tra i rovi
Volevo volpe
E la verità dei rovi che aveva dovuto attraversare
Avevo voglia di sentire se le mani scorrevano sulla pelliccia
o se il suo
coprpo poteva discorrere attraverso le mani irte verità che
stressano la superficie del pelo
pelle strappata che accusa la leggenda
coraggio di volpe in parole di volpe
Per un animale umano la richiesta d'aiuto
di un altro animale
è il grido più straziante e rivoltoso della terra
è una discesa ripida
Tornare indietro vale lacerarsi e lacerare senza fine
e da subito
tanto indietro, scappa dalla bocca
nel grido neonato del non ancora nato
il non ancora donna partorito da una femmina
Adrienne Rich
Mania di solitudine
Mangio un poco di cena alla chiara finestra.
Nella stanza è gioa buio e si vede nel cielo.
A uscir fuori, le vie tranquille conducono
dopo un poco, in aperta campagna.
Mangio e guardo nel cielo - chi sa quante donne
stan mangiando a quest'ora - il mio corpo è tranquillo;
il lavoro stordisce il mio corpo e ogni donna.
Fuori, dopo la cena, verranno le stelle a toccare
sulla larga pianura la terra. Le stelle son vive,
ma non valgono queste ciliegie, che mangio da solo.
Vedo il cielo, ma so che tra i tetti di ruggine
qualche lume già brilla e che, sotto, si fanno rumori.
Un gran sorso e il mio corpo assapora la vita
delle piante e dei fiumi, e si sente staccato da tutto.
Basta un po' di silenzio e ogni cosa si ferma
nel suo luogo reale, così comìè fermo il mio corpo.
Ogni cosa è isolata davanti ai miei sensi,
che l'accettano senza scomporsi:un brusio di silenzio.
Ogni cosa nel buio la posso sapere
come so che il mio sangue trascorre le vene.
La pianura è un gran scorrere d'acque tra l'erbe,
una cena di tutte le cose. Ascolto i miei cibi nutrirmi le vene
di ogni cosa su questa pianura.
Non importa la notte. Il quadrato di cielo
mi sussurra di tutti i fragori, e una stella minuta
si dibatte nel vuto, lontana dai cibi,
dalle case, diversa. Non basta a se stessa,
e ha bisogno di troppe compagne. Qui, al buio, da solo,
il mio corpo è tranquillo e si sente padrone.
Cesare Pavese
Dorme il mio amico
Dorme il mio dolce amico sotto la tenda.
Ed io veglio perché lui dorma.
Quando son solo è che aspetto il mio amico.
Da lui non vado che la sera.
È questa l’ora di tutti i fuochi del Mezzogiorno;
La terra tutta discolora di sete, d’attesa e di paura;
L’ora in cui la volgarità degli impavidi vacilla,
In cui il pensiero dei saggi si confonde, —
In cui la virtù dei puri si corrompe, —
Tanto la sete è desiderio d’amore
E l’amore è sete di toccare, —
In cui tutto ciò che non è di fuoco
In questa vampa perde il suo colore.
C’è chi, a sera, sfinito da un caldo così grande, non ha più trovato il suo coraggio;
C’è chi, attraverso il deserto, ha cercato, tutta la notte, vanamente appresso al suo pensiero smarrito;
Grazie al mio amico
Senza paura attendo la dolce notte.
Quando è sera, il mio amico si sveglia;
Vado da lui, e lungamente ci consoliamo.
Accompagna i miei occhi nel giardino delle stelle.
Gli parlo dei grandi alberi del Nord
E delle fredde vasche in cui la luna,
Pastore celeste, come un amante, si bagna;
Lui mi spiega che solo le fuggevoli cose
Hanno inventato le nude parole
Mentre quelle che non devono perire
Tacciono sempre, avendo tutto il tempo di parlare —
E che la loro eternità le narra.
André Gide