Chi non sa aspettarsi l'impossibile, non lo vedrà mai
Eraclito
C’era una volta in Italia
di Giuditta Pieti
Oggidì l’Italia è un Paese dove gli antichi e casalinghi assedi psicologici delle mamme, dei papà e degli zii sugli indiziati di omosessualità sono stati sostituiti da imboscate scorrette, e politicamente sorrette.
Non fu sempre così. Con incrollabile fede, come recitano antiche storie, un tempo, se eri in odore di omosessualità, ti allenavano senza mezzi termini a comportarti come si deve. L’omosessualità era un tempo malattia incurabile e forse contagiosa. Alla larga. E tutti a crederci: solo qualche spirito ostinato provava a cavarsela a zigzag tra vita pubblica e privata.
In un Paese dove l’ipocrisia diffusa è “un omaggio che il vizio rende alla virtù”, oggi la bocciatura senza appello dei misfatti omosessuali è acqua passata (almeno per i più).
Le fonti più lungimiranti e perseveranti ci dicono che tutto si fa per il bene dell’individuo e della specie. E non ci si parli di cosa è naturale e cosa no, altrimenti si va in confusione.
Pare siano previsti edificanti corsi di recupero per i soggetti alla ricerca del proprio genere. Accanimento terapeutico? Ma no. Seminari e convegni per divulgare il cosa, il come e il quando del recupero. Sempre a fin di bene, naturalmente.
Non che il soggetto omosessuale non sia vispo, intelligente e quant’altro. È solo svogliato, non si applica abbastanza alla materia, è sviato, inopinatamente, da influenze infide se persino nella cattolicissima Irlanda si è aperta la breccia a novelle tipologie di unioni che si affacciano, orribile a dirsi, su un mondo alla rovescia.
C’era una volta in Italia. E qui e ora? Voglio che qualcuno mi spieghi perché Maroni e compagnia devono pensare (scusate l’antinomia dei termini tra soggetto e verbo) anche per noi alla famiglia modello del terzo millennio.
E visto che ognuno riflette e pondera a propria immagine e somiglianza, non vorrei proprio ritrovarmi nel catalogo dei senza collo.